Non ho mai avuto "smanie per la villeggiatura", nemmeno da bambino. Ho incominciato a chiedermi molto presto che cosa ci facessi al mondo, figurarsi se potevo preoccuparmi delle vacanze.
Non ho mai amato il mare, tanto meno la montagna, e soprattutto non ho mai amato la vacanza nella italianissima accezione di assenza, assenza da tutto e tutti, soprattutto da se stessi.
Ho conosciuto gente che ha girato tutto il mondo rimanendo chiusa in resort dove faceva la stessa vita di spiaggia che avrebbe potuto fare a Santa Margherita o a Forte dei Marmi o a Rimini o dove preferite. Mai curiosa di nulla e di nessuno, totalmente autoreferenziale.
Ho sempre amato il viaggio. Non il turismo, il viaggio.
Finché ho potuto, ho viaggiato molto, spesso anche per lavoro. Poi, come molti, sono incappato nei diffusori di virtù e notoriamente ho dovuto consegnare loro quei quattro soldi che avevo messo da parte per me, per la mia famiglia, per farla divertire un po' con i frutti del mio lavoro.
Lo "Stato etico" (non quello gentiliano, che comunque non mi ha mai entusiasmato, ma quello dell'etica mafiosa, bancaria e finanziaria) ha preteso da me che gli pagassi ogni forma di "pizzo", ovviamente per il "bene comune"..., e, a partire da quel momento, le vacanze sono diventate un ricordo del passato e un miraggio del futuro.
E' ormai dal 2008 che non faccio più vacanze, e non credo che ne farò mai più. Anche perché, per carattere, io non sono disponibile a fare le vacanze residuali che mi sarebbero concesse, quelle nella pensioncina "da Pina" e misurando "virtuosamente" che cosa spendere dei due euro che uno Stato bastardo e affamatore mi ha lasciato per queste spese "superflue". Questa soddisfazione - agli affamatori di Stato, quelli che predicano tanto bene e razzolano tanto male - non gliela darò mai. Le vacanze da Germania Est, quelle da regime di Willy Ulbricht, quelle preferisco non farle. Le vacanze octroyées, quelle à la Luigi XVIII, non le faccio proprio. Io non mi adatto, non mi adeguo, non vivo come mi dicono di vivere. Sto chiuso nel mio eremo, consapevole che non verranno tempi migliori e che, se verranno, non verranno certo per me. Ma non intendo vivere le "vite degli altri". La vita è la mia e ne faccio quel che voglio. Per me, le decrescite - specie quelle procurate con il furto a carico della collettività - sono tutte infelici.
Coltivo amorevolmente il mio odio. Lo affino, lo affilo. Mi preparo. Studio. Non so se "pagheranno caro", se "pagheranno tutto". Non mi faccio illusioni. Penso che a pagare caro e tutto ci sarò io e tanti altri disgraziati come me. Tuttavia, l'odio che mi porto dentro è una splendida ragione e compagna di vita, che io nutro amorevolmente. Se proprio dovessi dire, non mi vorrei come nemico, perché un tempo - è vero - la mia concezione della guerra prevedeva il fare prigionieri. Ora, non lo prevede più.
Piero Visani