I dintorni di una stazione ferroviaria ai confini del mondo. Vicinissima, per la verità, ma al tempo stesso ai limiti del mondo conosciuto.
Il solito degrado, la solita umanità dolente, i soliti volti carichi di dolore che i pochi privilegiati della sempre più ristretta genia dei beati possidentes fingono di non vedere.
Qualche decina di metri e lo scenario muta radicalmente: ristoranti, negozi, autentiche isole su cui si affaccia, per ora semplicemente curiosa (in futuro probabilmente invidiosa e magari pronta a tutto...), una moltitudine dolente, in fuga verso terre promesse che neppure sa se reali o artificiali.
Alcune cene da privilegiati, in un clima da fine della Belle Epoque, con i nostri pensieri che affondano nel vino, che ad esso fanno riferimento per gioire nel carpe diem, che è quanto maggiormente ci gratifica.
Poi le fughe in auto nella notte, piccoli spostamenti nello spazio che si dilatano in enormi spostamenti nel tempo e nel posizionamento sociale, per cui dai luoghi del degrado più totale si passa, in meno di mezz'ora, nei paradisi dorati del capitalismo finanziario.
Guardiamo con curiosità, per qualche momento più o meno lungo ci illudiamo di partecipare a una condizione di privilegio che sappiamo non essere nostra, ma che ci piace condividere per una sera, se non altro perché ci trasporta dalla realtà al sogno, ci mette di fronte a itinerari che forse, con premesse diverse, avremmo magari anche noi potuto compiere, ma purtroppo non abbiamo compiuto.
Poi la gioia di quella autentica festa mobile si dilata, gli obiettivi si fanno più ambiziosi, gli itinerari si complicano e si articolano. Si sale, si scende, mentre la notte ci scivola intorno.
I dialoghi, dapprima intensi e spesso gioiosi, si rarefanno. Le parole si sospendono. Non parliamo più, i silenzi si fanno dominanti. Forse ci stiamo ponendo le stesse domande, forse ci stiamo chiedendo "che cosa stiamo facendo qui?", mentre i chilometri scorrono.
I paesaggi mutano di continuo, le città ricche di luci, di storia, di parti delle nostre stesse vite fuoriescono dalla loro dimensione reale e diventano simboli, metafore, mentre ciascuno di noi corre dietro al filo dei propri pensieri, preoccupato solo di cogliere la magia di quelle notti e di farla propria, di stringerla saldamente a sé, di non lasciarla più.
L'auto è un microcosmo, lanciata in un varco spazio-temporale entro il quale fluiscono rapide le nostre vite precedenti e anche la nostra esperienza del momento, che forse vorremmo durasse ancora a lungo, o forse non finisse mai.
Sono strade strette, ricche di curve e il calore amico delle sere di inizio estate induce a chiudere gli algori dei condizionatori ed a lasciare spazio all'aria tiepida e vagamente umida della notte.
Parte una musica rilassante, in sottofondo, per dare una colonna sonora a un'atmosfera che solo di quello ha ancora bisogno, perché per il resto è pregna di tutto e nulla le manca.
Siamo in movimento da un punto A ad un punto B, ma sappiamo benissimo che non è così e che altre sono le strade che stiamo percorrendo e altri i viaggi che stiamo compiendo. A parte la musica di sottofondo, nessuno parla, ma il silenzio non è irreale, semmai è iper-reale: parlano le cose, i luoghi, i sentimenti, le emozioni, i ricordi, la ricerca spasmodica di altre vite.
Quando infine arriviamo a destinazione, se così la possiamo chiamare, usciamo con una certa pena dal nostro tunnel spazio-temporale, ben consapevoli - peraltro - della profondità e dell'intensità dell'esperienza vissuta. Se la vita ha un significato, probabilmente esso è tutto qui, in queste notti di fuga e di ritrovamento, in queste esperienze letteralmente "di confine", dove tutto è sottratto all'ordinarietà, dove tutto ha un senso che è solo ed esclusivamente per noi, è totalmente nostro, non ceduto - volontariamente o meno - ad alcun altro. Notti magiche.