domenica 21 giugno 2015

Scritture non... sacre

       Quanto si porta di se stessi, nello scrivere? Dipende ovviamente dalle diverse individualità. Per quanto mi riguarda, moltissimo e infatti ritengo lo scrivere un esercizio catartico, ma pure dolorosissimo.
       Al tempo stesso, le parti di testo in cui trasportiamo e trasponiamo noi stessi sono in genere le più convincenti, perché sono quelli a più forte contenuto esperienziale e ci riempiono di flash back che talvolta forse vorremmo si trasformassero in flash forward, per disegnare un futuro che potesse essere auspicabilmente diverso dal passato.
       Lo scrivere di sé è un'attività psicoanalitica per eccellenza e non a caso viene consigliata in molte terapie, perché in parte costringe a fare i conti con ciò che è stato, non potendo ovviamente indicarci come fare i conti con ciò che sarà.
       La mia personale ricetta al riguardo consiste nel mettere in tutto ciò che scrivo un po' di me e quelli che mi conoscono più o meno bene probabilmente individuano facilmente quelle parti. Il resto è uno sfogo al mio personale dolore esistenziale, che è grande. Ne deduco che il mio scrivere sia in definitiva un esercizio, ma ancora non so se terapeutico, o masochistico...


                                         Piero Visani

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