Aosta, ultimi giorni di dicembre del 1966. Come in occasione di tanti altri Natali, sono a casa dei miei nonni, nel capoluogo valdostano. Una casa grande, ma ormai vuota. Mio nonno materno, Pietro Rosset, è morto ormai da qualche anno, di cancro alla prostata, dopo una lunga e terribile agonia.
Dormo nella sua stanza, dove trascorse un periodo straziante, e dove pian piano vidi disegnarsi sul suo volto le stimmate della morte. Quando morì, qualche anno prima, ricordo che quel segnale mi colpì moltissimo e suscitò in me un fascino per la morte che non si è mai più spento.
Vidi quella trasformazione anche sul volto di mio padre, negli ultimi mesi del 2000, nonostante le facezie dei medici sulle sue condizioni di salute e, quando lo salutai per l'ultima volta, il 7 marzo 2001, esattamente meno di 24 ore prima che morisse, sapevamo entrambi benissimo che era giunto il nostro pas des adieux (e devo dire che lui fu straordinariamente sobrio e dignitoso, come si addiceva ad un uomo che non era nato con la mia cultura, ma se ne era fatto progressivamente e positivamente influenzare).
Nel 1966, per contro, mio padre stava ancora benissimo ed era arrivato all'ultimo momento ad Aosta, distratto come sempre da impegni di lavoro. Nella notte di Natale, nello spacchettare i doni, ricordo che trovai le circa 1.400 pagine di Storia della Guerra Civile americana di Raimondo Luraghi, edito da Einaudi.
Non ricordo con precisione chi mi regalò quel libro, penso uno dei miei parenti valdostani, ma ricordo che ne fui molto felice e che mi immersi fin dalla notte di Natale nella lettura.
Scritto divinamente bene, quel librò mi rapì e ampliò un amore - quello per la Guerra Civile americana - che già nutrivo, specialmente grazie a qualche film, come il celebre Soldati a cavallo di John Ford.
In quella notte gelida tra il 24 e il 25 dicembre, penso che lessi in un fiato quasi 400 pagine, dormendo poco o nulla, come ho sempre cercato di fare. La stanza era abbastanza fredda e il clima al suo interno era reso ancora più gelido dal fatto che il lettone ove dormivo era quello dove mio nonno aveva chiuso i suoi giorni e dove l'avevo salutato per l'ultima volta, quando il suo viso non era ormai altro che un teschio.
Tuttavia, una vicenda di dolore familiare mi introdusse più facilmente a una vicenda storica tragica e al tempo stesso grandiosa, e Luraghi - che poi ebbi modo di conoscere personalmente - mi introdusse con la sua penna magistrale a una serie di vicende che avrei largamente approfondito in seguito, con varie esperienze nel Vecchio Sud e sui campi di battaglia della Guerra Civile.
Dalle sue pagine, usciva l'immagine di una società molto tradizionale, spesso articolata su strutture e rituali che davvero non mi corrispondevano, ma all'interno della quale vivevano e si erano esplicati appieno alcuni spiriti ribelli, assolutamente affini al mio. Mi sapevo già di indole ribelle, a sedici anni, ma l'incontro con i "Johnny Reb" ha segnato in positivo la mia vita e, da allora, li ho sempre amati, così come ho sempre amato la loro fantastica bandiera da combattimento.
Nel giro di poche, gelide notti, lessi tutta l'opera e ricordo che verso le 4 tiravo silenziosamente su una parte minima delle persiane per guardare la fissità notturna di Aosta, immersa in un silenzio spettrale, per una volta ulteriormente ampliato dal candore ovattato di una forte nevicata.
E' un Natale che ricordo, un Natale di passione e di passioni, ed era bello, a sera, chiudersi nel silenzio di quella stanza per immaginare "innumeri altre vite". Sognavo la mia come non meno gloriosa di quella degli uomini di cui leggevo le vicende. Non è stata così, anzi è stata molto diversa da così, ma leggere di uomini grandi mi ha impedito di mescolarmi troppo con i tanti uomini piccoli che ho conosciuto successivamente.
Piero Visani