La mia vita è una gigantesca colonna sonora. Non ricordo un minuto di essa - un minuto che possa essere definito degno di essere stato vissuto - che non sia accompagnato da una musica, ascoltata realmente, o che girava nella mia mente. Per me, sono spesso canzoni, dove la musica è il contesto e le parole sono ovviamente il testo. Sono, in questo senso, un grande sodale di Umberto Broccoli (non so se lo conoscete e lo seguite in radio, o su "Sette", il supplemento del "Corriere della Sera") e del suo tentativo di inserire tutto, storia, sociologia, vicende pubbliche e private in un contesto dove la musica svolge un ruolo fondamentale.
La mia personale concezione è che la musica abbia un ruolo cruciale, nella vita di una persona, in quanto - nietzscheanamente - essa consente di fondere ascolto e appartenenza, dato che il primo consente di lasciarsi possedere dalla seconda.
Quanto alla canzone che mi è venuta in mente stasera, credo che si sia fatta strada nei labirinti del mio animo perché è dolente, ma non pessimistica; perché invita a non rimpiangere, mai, anche se il desiderio di farlo sarebbe forte; perché incita a ripartire, sempre e comunque, anche se il tempo sembrerebbe schiacciarci verso quelle parti della vita in cui i desideri e le emozioni non sono più ammessi, quanto meno non socialmente ammessi.
Io non credo, tuttavia, che la stagione dell'amore - termine che a mio giudizio deve essere inteso ad ampio spettro, quale capacità di provare sentimenti, emozioni, passioni - si possa mai esaurire e, anche se di fatto lo sono, non mi sento vecchio, perché tale capacità continuo a possederla. Talvolta non riesco a trovarne riscontro nei miei simili, e me ne dolgo; talaltra non vengo capito, e può succedere; talaltra ancora vengo demonizzato, e quello è forse il mio destino. Ma non riesco a pentirmi di alcunché: come sempre, non ho fatto calcoli, ho seguito il mio istinto, sono andato là dove mi portava il cuore. Sovente, tutto questo mi è costato carissimo, ma ne ho pagato tranquillamente il prezzo, perché so bene che costa molto caro essere se stessi. Sono caduto varie volte, infinite volte, ma mi sono sempre rialzato e ho ripreso il mio cammino, perché davvero non c'era un solo motivo, uno solo, perché non dovessi farlo. Avevo una ferita in più, d'accordo, ma i "guerrieri dell'esistenza", quale io sono, non contano le ferite, o le vittorie, o le sconfitte. Si chiedono se si sono comportati in conformità alla loro etica e al loro senso dell'onore e, se sanno di averlo fatto, quello basta loro. Non hanno fatto quello che hanno fatto per vincere, ma perché sentivano di doverlo fare. E questo mi basta, dato che mi consente almeno di parlare con me, e di nutrire rispetto per come sono. Ho costantemente bisogno di sapere che ho agito in base ai miei principi. E' la mia linfa vitale. Pochi, forse sempre meno, lo comprendono e mi chiedono di essere quello che non posso essere. E' la mia piccola, personale tragedia. Il solco che mi divide da molti, da quasi tutti.
Piero Visani