Se ci penso bene, il 2012 è stato un anno di perdurante, purissima, raffinatissima ed estenuante noia. Qualche rapporto bello, anche molto bello, sviluppatosi a livello personale, poi infrantosi nella più totale delle noie. Noia borghese. noia convenzionale, noia sociale, noia totale.
Il fantastico accadimento di un incontro, di più incontri; la gioia di poter essere protagonisti di incroci esistenziali, di entusiasmi, di interfaccia di nuove sensibilità, nuove personalità, nuove esperienze, tutto rapidamente affondato nella difesa ad oltranza delle convenzioni, delle vecchie abitudini, della paura di esplorare, di andare oltre.
Credo che la mia scelta di vivere in perfetta solitudine sia frutto della delusione che mi assale quando penso a quanta vita si butta via. E' così raro incontrarsi, tra esseri umani; è ancora più raro capirsi, o intendersi. Ma è condizione di un minuto, o di poche settimane, o di pochi mesi. Poi subentrano le convenzioni sociali, psicologiche, esistenziali, sessuali.
Poi subentra la noia, il voler restringere tutto a una dimensione convenzionale, nota, sperimentata. Il poter essere in un modo che diventa il dover essere, in quel modo, con limiti a tutto, a tutti. Divieti, dinieghi. Questo non si può fare, quell'altro nemmeno. Possiamo essere amici, non amanti. Non possiamo esplorare. Ci manca soltanto di fasciare le gambe delle sedie e dei tavoli, come in età vittoriana, per pudicizia. E' la morte per scelta, ergo il suicidio.
Se questa è vita, allora preferisco chiudermi in casa, nel mio studio, e leggere libri di autori che sanno immaginare, vedere film di registi che sanno creare. Se la vita è morte, che me ne faccio? Meglio un surrogato, o un'interpretazione. almeno mi consentirà di coltivare illusioni e di sperare di incontrare esploratrici, come me.
In effetti, quella che mi è mancata di più, nel corso del 2012, è stata proprio la vita. Mi è straordinariamente difficile vivere così, in mezzo alle rinunce, ai perbenismi, alla volontà di non dare e di non darsi mai, sempre e comunque. Qualunque vicenda umana può finire, lo so bene, ma, se ha rappresentato un'esplorazione, un percorso comune, una sommatoria di complicità totali, ha un senso. Se non è stata nulla di tutto questo, che ti lascia? Uno spaventoso senso di vuoto, che non è quello derivante dalla perdita di una condizione "paradisiaca", ma è quello - infinitamente peggiore - di non avere vissuto. Cosa si può rimpiangere, di ciò che non è stato? In teoria, si potrebbe rimpiangere il fatto stesso che NON sia stato, ma siccome uno sa, per averlo vissuto, che da quel "essere" è sempre stato infinitamente lontano, non gli rimane da rimpiangere proprio alcunché. Per cui si arriva al paradosso totale della "negazione del rimpianto" per impossibilità di rimpiangere. Come se una coppia di potenziali amanti adulti dovesse rimpiangere quel giorno che, in una nota località di mare, non prendemmo un gelato insieme... Ridicolo. Ridicolaggine totale. Storie nemmeno più definibili da liceali, visto che i liceali attuali sono sicuramente più svegli e meno inibiti.
Il mio 2012 è stato segnato da incontri di questo genere e, se ora sono qui, a scrivere e lavorare, è perché in me stesso, almeno, trovo antidoti contro questo osceno modo di vivere. La mia sincerità mi induce alla solitudine, perché, quando dalla solitudine intendo uscire, non pongo limiti a come uscirne. Non ne posso più di questa "vita a credito", delle cose fatte sapendo fin dall'inizio che oltre non si può e non si vuole andare.
Non ne voglio più sapere di una vita di rinunce. Non intesserò più alcun tipo di rapporto che non si dimostri, fin dall'inizio, immerso nella più scoperta dimensione dionisiaca, Non ne ho voglia e non ne ho tempo. E ne ho già perso tanto, troppo.
Piero Visani
Nessun commento:
Posta un commento