Un caro amico di una vita mi dice che il mio primo seminario come "incaricato di esercitazioni" presso la cattedra di Storia del Risorgimento della Facoltà di Lettere dell'Università di Torino (correva l'anno accademico 1976-77) fu dedicato alla contrapposizione tra "Guerra di popolo e guerra regia nel Risorgimento". Mi complimento per la sua eccellente memoria, ma gli confesso che mi fu più caro quello dell'anno dopo, dedicato a un semisconosciuto teorico della guerra insurrezionale, Carlo Bianco di Saint Jorioz (1795-1843).
Era uno dei momenti più bui degli "anni di piombo" e ricordo che i miei seminari settimanali, che si tenevano - se ricordo bene - il mercoledì pomeriggio, erano frequentati da oltre 50-60 studenti, tra i quali mi venne subito il sospetto che, oltre a molti interessati alla teoria, ci fosse anche qualcuno interessato alla pratica della guerra insurrezionale, tanto era attento, prendeva appunti, poneva quesiti intelligenti e talvolta molto concreti.
Sensibile, già allora, alle componenti di grottesco presenti nella realtà, mi veniva da ridere pensando a me stesso (non propriamente di sinistra, per usare un eufemismo, ma non avevo ancora fatto outing politico) intento a insegnare tecniche di guerriglia a soggetti che sicuramente ne sapevano molto sul piano pratico, ma forse sentivano la necessità di un solido inquadramento teorico.
Da allora, anche se dopo il mio outing politico mi venne cordialmente "suggerito" di cambiare aria, ho continuato ad interessarmi attivamente della "quarta generazione" della guerra e di tutto ciò che essa presenta e può presentare di irregolare, e solo molto più tardi sono transitato all'interesse per la guerra mediatica e la cyberwarfare.
Immaginatevi il mio interesse quando ho visto non solo la guerra, ma anche la politica trasformarsi in una gigantesca "guerra per bande" su scala planetaria, avente per protagonisti non imperi o Stati nazionali, ma potentati, gruppi criminali e paracriminali, consorterie politiche in nulla e per nulla diverse da quelle criminali, lobbies finanziarie, etc. etc.
La perdita di legittimità dello Stato, in questo contesto, è stata una rivoluzione che ha coinvolto anche me. Ero infatti cresciuto in una logica di tipo statalistico e averla veduta crollare davanti ai miei occhi, uccisa proprio da chi avrebbe dovuto difenderla, ha inciso in profondità sul mio modo di pensare. Ho perso qualsiasi tipo di fiducia, anche larvatamente residuale, nelle istituzioni e ho assistito, talvolta da punti di osservazione privilegiati, alla loro trasformazione in bande di varia natura, non esclusa quella criminale o paracriminale tout court. Tale visione ha accentuato il mio coté anarchico, fino a indurmi a costituire una mia personalissima banda individuale, alla quale da allora ho giurato - e prestato - eterna fedeltà.
Nell'ultimo numero di Limes (I/2015), il generale Fabio Mini, che ho avuto modo di conoscere e apprezzare quando lavoravo per la Difesa, ha tracciato da par suo uno splendido quadro dell'evoluzione del conflitto e del perché le guerre - così come abbiamo imparato a conoscerle - "non scoppiano più". La sua risposta è semplice, ed è anche la mia: perché, non essendoci più gli Stati e neppure gli imperi, è tutto diventato una gigantesca guerra per bande su scala planetaria, dove noi, piccole monadi senza importanza, siamo vittime di logiche che non ci appartengono, che ci stritolano, che ci mandano a morire per conto terzi, senza che possiamo ricavarne alcunché in termini di benefici reali. Vittime di "un grande gioco" che passa sulle nostre teste, in cui non esiste più alcuna dimensione istituzionale o statale, ma solo gli sporchi interessi di non meno sporche bande politico-criminali.
Sono lieto e pure orgoglioso di condividere un pensiero del genere: è quello che ho visto e sperimentato sulla mia pelle e, siccome le bande che vedevo contendersi il campo non mi piacevano, ne ho creata una mia personalissima e, nel farlo, mi sono svincolato da tutto. Oggi nessuno mi frega più "con i miti eterni della patria e dell'eroe". Ci credo ancora, ma come testimonianza ai miei ideali; non penso certo che oggi una Patria sia ancora possibile o che si possa credere in essa.
Mi sono messo da solo e mi preparo alla "guerra di tutti contro tutti". Non ho nulla da guadagnare e nulla da perdere, se non un minuscolo pomerio di libertà, la mia. Quella la difenderò il più a lungo possibile. Quanto alle bande criminali, proseguano pure la loro guerra, si scannino, ci scannino. Quello che mi preme, oggi, è solo smascherarne l'esistenza, evitare che qualche giovane pensi al mondo come a un luogo di diritti, ideali, onore. No, meglio cercare di capire, capire che cosa ci serve per sopravvivere nel mondo della guerra per bande. Magari costruirne una nuova, nuova e diversa...?
Piero Visani
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