In questi ultimi anni, ho ricevuto un discreto numero di inviti alla ragionevolezza, soprattutto nelle mie relazioni interpersonali. Quando mi succede, mi si accende come una lampadina interiore, in quanto, per me, una frase siffatta rappresenta la cartina di tornasole del fatto che la persona che mi rivolge un'esortazione del genere non ha capito nulla, ma proprio nulla, di me.
Così, se la cosa accade ad esempio nel quadro della relazione con una signora, è chiaro che una frase tanto fatidica mi fa capire che è giunta l'ora di levare le tende, in quanto nessuna persona che mi abbia compreso un minimo mai mi direbbe quelle parole... E' innegabile infatti che io sono naturalmente irragionevole, ma in una forma molto particolare, cioè nel senso che non intendo mai sottoporre la mia personale "volontà di potenza" (nietzscheanamente intesa) a quella/e altrui. E poiché chi mi esorta ad "essere ragionevole" in realtà sta esercitando la sua "volontà di potenza" a carico della mia, nel senso che vorrebbe cambiarmi e farmi diventare un soggetto di suo gradimento, io declino cortesemente l'offerta e continuo ad esercitare la mia, di "volontà di potenza", e rimango me stesso.
Quante relazioni ho mandato all'aria per questo motivo? Non poche, devo dire, e non erano neppure tutte relazioni realmente sentimentali, ma anche solo amicali o addirittura professionali. Non ho ovviamente nulla da rimproverare a chi mi voleva diverso, solo che io volevo rimanere uguale...!
Tengo a precisare che per me rimanere uguale significa in realtà sottopormi a un continuo divenire, in quanto sono un soggetto naturalmente e direi consustanzialmente proteiforme, però ho sempre odiato la ragionevolezza, per non parlare delle esortazioni alla medesima.
Alle mie orecchie "essere ragionevole" suona come l'invito ad aderire a un canone, a seguire comportamenti stereotipici in cui chi mi esorta alla ragionevolezza possa riconoscermi e, al tempo stesso, riconoscersi. E tuttavia, se avessi voluto essere come lei/lui/loro mi chiedevano, non sarei io. Detesto la riconoscibilità, odio essere inserito in un canone, aborro avere un posto preciso in una griglia mentale, in un cuore diviso a compartimenti, in una mente fatta a scaffali. Non voglio essere classificato o classificabile, eccezion fatta per il fatto che si dica di me che sono "pazzo" o - come minimo - "originale". Quello non mi turba, perché mi classifica senza pretendere nulla da me, mi pone in una lunatic fringe da cui è chiaro che nessuno intende venire a tirarmi fuori. Questa è una soluzione che apprezzo molto e ringrazio chi la fa propria: ognuno per la sua strada e (non) amici come prima!
Piero Visani
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