giovedì 19 giugno 2014

Sovranità

       Stando alla celeberrima formula enunciata dal grande giurista e politologo tedesco Carl Schmitt, "sovrano è colui che decide sullo stato di eccezione". A mio personale giudizio, tale formula non si applica soltanto alla politica, ma a tutti i rapporti umani, tant'è vero che, nelle più diverse circostanze, mi sono spesso sentito coinvolto in situazioni del genere.
       Nell'ambito delle relazioni sentimentali, ad esempio, la sovranità - se il rapporto è equilibrato - è una scelta consapevole di due persone, che può naturalmente esprimersi nelle forme più diverse, a condizione che si tratti di una scelta condivisa e non di un "patto leonino" imposto - bon gré mal gré - da un socio di maggioranza ad uno di minoranza.
        Quando mi è capitata una situazione siffatta, ho sempre cercato di riequilibrare il rapporto, sforzandomi di non finire nella spiacevole condizione di soggetto subalterno. Talvolta, tuttavia, tale situazione di subalternità non mi è parsa poter venir meno, nel senso che mi sono sempre state poste numerose condizioni da soddisfare: essere solo "amico", solo collaboratore di lavoro, solo questo e solo quello.
       Tutte richieste comprensibili - talvolta dettate da considerazioni di carattere sociale, talaltra da paura, talaltra ancora da sessuofobia variamente motivata e motivabile, e via discorrendo. Considerazioni tutte legittime, ma che mi votavano a una condizione di subalternità e di onanismo che non fa per me, che mi costringevano a una soluzione pattizia che non mi interessava, che mi costringevano a una situazione di sovranità limitata che non sento mia.
       In casi del genere, ho provato ad esercitare una positiva opera di persuasione. Poi, una volta constatatane l'inanità, ho preferito uscire di scena.
       Non amo mediazioni e/o compromessi. Sono il classico soggetto da "o tutto o niente", per cui, se non posso avere "tutto", preferisco avere "niente". Non intendo accettare una "sovranità limitata", ma solo una "sovranità condivisa". Se tale approdo non è possibile, meglio uscire di scena e lasciare un ricordo, o forse nemmeno quello.
        Nutro un sano terrore per gli "amici del cuore", i cicisbei, i confidenti, quelli cui le signore amano poggiare il capo sulla spalla per raccontare le loro personali vicende amorose, "consumate" ovviamente con altri.... Sfigati cronici con una forte componente masochistica, che potrebbero esercitare meglio - e con superiore soddisfazione - in contesti maggiormente ritualizzati. Preferisco di gran lunga essere odiato che compatito, essere considerato una persona "impossibile, irragionevole e maschilista" piuttosto che un eunuco. Il semplice ricordo di me susciterà odio e magari fastidio, ma un seguace di Dioniso - quale mi vanto di essere - non ha molte altre soluzioni a sua disposizione: ho presentato la mia offerta, l'ho posta a confronto con quella altrui, si sono rivelate incompatibili e a quel punto non mi restava altro da fare - onde evitare il terribile rischio di diventare un "damo [inteso come maschile di dama] di compagnia" - che togliermi di torno. Con un po' di rimpianto iniziale - inevitabile, visto l'impegno profuso nel declinare la mia offerta - poi cancellato progressivamente dalle mille opportunità che offre il mondo. Dopo tutto, c'è chi vive di rinunce, mediazioni e "sovranità limitate" (e lo scrivo senza acrimonia, è una scelta legittima anche quella), e chi vuole essere libero, ribelle e padrone di se stesso. Due universi palesemente incompatibili. Meglio prenderne atto.

                                               Piero Visani

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