La vita è un coacervo di emozioni, di dispersi frammenti emotivi che è bello cercare di mettere assieme quando si percepiscono. Ma qual è il valore che attribuiamo loro? E quante volte uno di questi frammenti riesce realmente a innescare un dialogo?
Continuo a interrogarmi su questo argomento, perché ritengo che trovargli una risposta convincente sia uno dei modi migliori a mia disposizione per stare al mondo così come mi è gradito starci, interagendo il più possibile con chi è disponibile a farlo, cioè con chi è disponibile allo scambio, latamente inteso.
Tuttavia, mi chiedo sempre più spesso se a tutt'oggi ciò abbia ancora un senso. Devo riconoscere che, malgrado le molte, troppe esperienze negative - in cui uno si sente usato, sfruttato, eterodiretto, preso in carica a scadenza e buttato via "best before"... - la ricerca di un dialogo profondo è ancora una delle mie mete personali più ambite.
La ricerco costantemente e, se questo mi è valso qualche delusione di troppo, mi ha dato anche qualche grande soddisfazione. Dopo tutto, è sufficiente chiarezza, rifiuto di infingimenti e inganni, empatia, dialettica. Così, si muore metaforicamente là dove ti vogliono uccidere (sempre metaforicamente, sia chiaro), e si vive - non solo metaforicamente, per fortuna - là dove il dialogo è positivo e fecondo. Tutto qui, tutto molto semplice, per certi versi, e molto complicato, per certi altri, perché talvolta si è indotti a pensare di NON essere oggetto di un inganno o di una presa in giro. Ma prima o poi uno se ne rende conto, volta pagina e ricomincia a volare, reso anche più esperto e avveduto dagli insegnamenti deducibili dagli errori commessi.
Al riguardo, personalmente posso vantare una grande fortuna: siccome sono considerato in genere molto ingombrante, la mia eliminazione è chiara, netta, chirurgica, radicale. Sulle prime, può fare male, ma poi mi rendo conto che è l'unica soluzione possibile, con un soggetto dalla mentalità olistica come la mia, per cui, annoiato dal poter ambire solo a qualcosa (di preferibilmente molto residuale), mi ritrovo nel NULLA che mi è stato riservato e posso riprendere la ricerca di quel TUTTO cui aspiro ardentemente, visto che mi considero un uomo e non un surrogato.
L'autostima mi ha sempre salvato e mi ha sempre portato lontano: lontano dalle mediazioni, dai compromessi e dalle soluzioni a metà. Verso l'esercizio dell'unica cosa cui tengo: il pieno dispiegarsi della mia libertà, che per sua natura rifiuta sempre qualsiasi tipo di pateracchio - nobiliare, borghese o proletario che possa essere.
Piero Visani
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