Il conflitto urbano è una tipologia di scontro che qualsiasi stratega - se può - cerca di evitare. A Gaza, una volta decisa l'offensiva, l'esercito israeliano non è riuscito ad evitare questo tipo di soluzione tattica e subito la conta dei morti si è fatta preoccupantemente elevata, nelle file dello Tsahal, poiché non vi è nessuna superiorità tecnologica che possa realmente garantire i combattenti di una guerra irregolare in ambiente urbano. Si muore, da guerriglieri ma anche da soldati di uno dei più prestigiosi eserciti del mondo.
Non è un tipo di guerra "a zero morti", anzi, e veder cadere i propri soldati aumenta la ferocia della reazione israeliana contro la popolazione civile palestinese, che ovviamente nulla può fare per difendersi. E, ad onta della forza di Israele sul versante della guerra mediatica, tale comportamento ne delegittima l'azione agli occhi del mondo, che fatica a comprendere tanta ferocia.
Già l'attacco israeliano contro gli Hezbollah libanesi, nel 2006, aveva dimostrato che, quando un avversario rifiuta la guerra regolare, tutte le forme di conflitto asimmetrico sono estremamente difficili da gestire, e molto onerose in termini di perdite umane. Quella odierna ne è l'ennesima conferma. Come ha scritto a suo tempo Jacques Baud, le guerre asimmetriche si concludono quasi sempre con "la défaite du vainqueur"; una volta principalmente mediatica, oggi potenzialmente anche tattica. Il più debole, infatti, ha bisogno soprattutto di farla pagare molto cara al più forte. Tutto il resto - morti di innocenti comprese - le ha già messe abbondantemente in conto.
La politica - per tutti coloro che nell'Europa sodomizzata e schiava l'hanno dimenticato, travolti da ondate di "buonismo" sparso non disinteressatamente a piene mani - è sempre e soltanto sangue e merda. Meglio se altrui...
Piero Visani
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