Mi sveglio, mi alzo, comincio a lavorare, ma la mia mente resta pervasa da queste parole, tratte da una nota canzone di Francesco Guccini:
"siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."
Del fatto che "siamo qualcosa che non resta" non potrebbe importarmi di meno, ma mi danno un certo fastidio le "frasi vuote nella testa", mentre mi turba realmente "il cuore di simboli pieno...".
Come direbbe Cesare Pavese, non ho mai imparato il mestiere di vivere e, con gli anni, questa constatazione mi pesa sempre di più, anche perché quei simboli che mi saturano il cuore non sono propriamente allegri. Tuttavia, sta riprendendo anche stamane la mia quotidiana battaglia per la vita e - da "guerriero esistenziale" quale mi concepisco - amore e guerra restano le poche passioni che ancora riesco a nutrire. E allora, senza entusiasmo ma con profondo senso del dovere, riprendo in mano spada e scudo, e riprendo la mia marcia. Marciare o marcire. L'alternativa non è propriamente delle più stimolanti, ma la prima opzione è il mio destino, la seconda quello che vorrei evitare. E allora in marcia: si può marciare anche con "il cuore di simboli pieno". Inoltre, se non trovo più grande senso nelle cose che faccio, non importa, glielo darò. Del resto, da sempre mi ispiro ad Eraclito, per cui "Polemòs [la guerra, metaforicamente intesa]
"è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi",
Ne consegue che, se voglio - come voglio - essere libero, non mi resta che combattere, pur con "il cuore di simboli pieno". Se sarò autenticamente guerriero, magari potrò infine godermi un meritato riposo...
Piero Visani
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