Pensate se ciascuno di noi fosse ammalato da anni e, sempre da anni, fosse in cura da qualche eminente professore di medicina, superstimato e titolare di chissà quante cattedre. Che cosa faremmo se, nonostante le sue "amorevoli cure", la nostra salute andasse sempre peggio? Lo manderemmo a quel paese e cercheremmo un sostituto, un'alternativa, qualcuno che riesca a curarci, non a farci ammalare di più o a lasciarci scivolare progressivamente nell'agonia.
In politica, non accade nulla di tutto questo. I "soloni" continuano a pontificare e i pazienti a morire. Quelli che non hanno ancora avuto la loro inevitabile sorte, o confermano la loro fiducia nei "dotti, medici e sapienti", oppure non viene proprio chiesto loro di esprimerla, in quanto coloro che "sanno" possono beneficiarne a priori, senza alcuna verifica popolare, per "grazia ricevuta" (la totaldemocrazia attuale, infatti, è a tutti gli effetti una forma di teocrazia).
Questa è la nostra condizione di italiani: da almeno due decenni, se non più, siamo oggetto di politiche strutturalmente e fiscalmente folli, ma nessuno si lamenta, nessuno sostituisce i medici al suo capezzale come farebbe per qualsiasi patologia fisica; i più "arditi", non vedendo altra opzione, si suicidano, senza nemmeno ricorrere alla "dolce morte", ma spesso a morti alquanto orribili.
A quanto pare, l'orrore di tutto questo sfugge ai più, così come sfugge loro il fatto che ci siamo completamente giocati il futuro. Come ebbe a scrivere Luigi Tenco, "un giorno dopo l'altro, la vita se ne va". E chiamare questa vita richiede formidabili iniezioni di ottimismo.
Piero Visani