domenica 11 giugno 2017

Letture giovanili

      Lessi questa frase - « la guerre de la liberté doit être faite avec colère» - da liceale in procinto di diventare studente universitario (a 19 anni), in un libro di un autore a me molto caro, Henry Lachouque ("Aux armes, citoyens! Les soldats de la Révolution", Librairie Académique Perrin, Paris 1969). Pronunciata da Louis-Antoine de Saint-Just, attirò su quel personaggio la mia attenzione, per cui - come sono solito fare abitualmente in questi casi - mi procurai libri e lessi una quantità di cose su questo aristocratico giacobino (io adoro gli ossimori, se tale può essere considerato quest'ultimo...), elegante, manierato, intellettuale, vagamente femmineo nel suo modo di presentarsi, crudelissimo, che divenne per me una sorta di personaggio storico di riferimento, che a tutt'oggi amo ancora.
       L'effettivo e intimo significato di questa frase mi venne poi chiarito dalla lettura - tra mille altre letture sulla Rivoluzione francese - dell'aureo libretto di Jean-Jacques Langendorf, "Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz" (Adelphi, Milano 1980), una delle opere più illuminanti sui reali significati militari della Rivoluzione.
       Come mi capita spesso, quando leggo frasi che segnano profondamente il mio animo, mi promisi che, da quel giorno, avrei condotto le mie guerre, personali e no, su quella stessa base concettuale e posso dire con estrema soddisfazione di averlo costantemente fatto. Non sono interessato alla guerre en dentelles; sono interessato solo ai conflitti mortali, quelli da mors tua, vita mea, ai quali sia lecito accostarsi con rabbia e nei quali sia possibile agire senza limitazioni e senza esclusione di colpi.
       Ovviamente - e la specificazione è tutt'altro che accessoria - mi sono accostato alle mie guerre sulla base di questo approccio solo quando si trattava di conflitti civili, di guerre intestine, in cui - secondo la nota distinzione di Carl Schmitt - il nemico era l'inimicus, il nemico interno, colui che carpisce la tua buona fede e ti colpisce alle spalle, quando meno te lo aspetti, vilmente. Mai e poi mai avrei approvato una condotta del genere contro il nemico esterno, l'hostis, perché sono favorevole a una concezione della guerra che possa essere retta da principi di diritto internazionale, dove il nemico è una figura ostile ma riconosciuta e che combatte in base a principi bellici condivisi e comunemente accettati. Dove esso rappresenta interessi diversi da quelli del tuo Paese e non è espressione di logiche partigiane, ispirate alla sola logica del tradimento e della guerra civile.
       Continuo a comportarmi così ancora oggi, con molta tranquillità e serenità, ma attento a tutelare il mio onore.

                    Piero Visani


                    

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