lunedì 31 agosto 2015

"Natural Born Killers"

       Uno degli aspetti più divertenti (e - se vogliamo - contraddittori) delle teorie "buoniste" è che sono (in)volontariamente omicide. Basta lasciarle fare, e pensano loro a tutto, anche ai nostri funerali. Di Stato, ovviamente.

                  Piero Visani

"Alla fine tutto si aggiusta"

       Vecchio mantra italico-andreottiano, molto gradito agli apologeti - che nel nostro Paese sono legioni - della ruota quadrata.
       Non lo contesto. Mi chiedo se intendono che si aggiusti come per i coniugi di Palagonia. Perché, se è così, hanno assolutamente ragione.

                          Piero Visani

"Mors tua, vita mea"

       Questo principio è sempre esistito: la cosa più bella - se e quando lo si capisce, perché spesso non lo si capisce proprio, o troppo tardi - è che, se è vero che è alla base della storia umana, è anche palindromo, cioè può essere letto nei due sensi. Occorre però imparare a leggere almeno in età scolare, perché poi potrebbe non bastare più...
               
                              Piero Visani

Sorrisi



       Un pomeriggio.
       Un sole africano.
       Una splendida aria condizionata in auto, tarata su livelli nordamericani.
       Una città ancora relativamente vuota.
       Qualche canzone che esce dal CD, a volte triste, a volte meno.
       Il mio mononeurone (sono maschio, no? Ergo non posso pretendere di più...) che si affanna vorticosamente ad operare.
       Sorrisi che mi salgono spontaneamente alle labbra.
       La collina torinese mi si snoda tortuosamente davanti, senza che io debba o voglia correre.
       Molti fattori mi inducono alla riflessione, ma oggi non ho voglia di raccontarli. Mi è sufficiente gustarmi, anche se non è certo ancora nell'aria, questo annuncio di autunno, cioè della stagione che amo di più, una stagione che scivola verso qualcosa di ineluttabile, ma che forse si potrà ancora fermare.
       Mi consola che presto non dovrò più vedere uomini anche molto anziani in calzoncini corti e infradito. Ho un sano orrore per l'orrore, e la sciatteria è un orrore indicibile. E' il segno più nitido e inconfutabile di una morte annunciata: la nostra.

                                 Piero Visani

domenica 30 agosto 2015

I marescialli di Napoleone

       Ogni tanto, anzi direi molto spesso, mi vengono idee strane, che in realtà coltivavo da tempo, ma che non erano ancora giunte a maturazione.
       Sono consapevole che devo ancora finire "Storia della Guerra", ma ora mi è venuto in mente di dedicare una serie di profili a tutti e 26 i marescialli di Napoleone, vale a dire agli ufficiali di altissimo grado che furono il suo braccio destro nel corso di vent'anni di campagne.
        La ratio di tutto questo è semplice: da bambino, ero un feroce buonapartista, e forse lo sono ancora ora, ed ero molto attratto dalle figure di quei personaggi che collaborarono più strettamente con Napoleone, specie sotto il profilo che interessava e interessa più a me, quello militare.
         Ora però vorrei parlare di queste 26 figure in termini parzialmente diversi, puntando anche sui loro aspetti più personali, in modo da tracciarne meglio il profilo individuale.
        Non mi pongo limiti di tempo. Scriverò un profilo quando ne avrò tempo e voglia, utilizzando fonti interessanti e più legate alla loro dimensione privata.
        Ecco l'elenco di tutti i marescialli:

  1. Augereau
  2. Bernadotte
  3. Berthier
  4. Bessières
  5. Brune
  6. Davout
  7. Gouvion Saint-Cyr
  8. Grouchy
  9. Jourdan+
  10. Kellermann
  11. Lannes
  12. Lefebvre
  13. Macdonald
  14. Marmont
  15. Massena
  16. Moncey
  17. Mortier
  18. Murat
  19. Ney
  20. Oudinot
  21. Pérignon
  22. Poniatowski
  23. Sérurier
  24. Soult
  25. Suchet
  26. Victor.
      Farò precedere il tutto da un breve approfondimento introduttivo. 

                       Piero Visani




 

sabato 29 agosto 2015

Vitalismo

       Si fa vivo un caro amico, a sole tre settimane da un delicato intervento chirurgico, per comunicarmi che è andato tutto bene (ci eravamo accordati di non fare gli ansiosi lagnosi...) e che ha addirittura completato positivamente la riabilitazione.
       E' una bella persona, che conosco da pochi anni, ma la cui vitalità, anzi direi vitalismo, immediatamente conquista. Siamo diventati anche soci d'affari e pure lì il suo spirito è il medesimo: sempre curioso, sempre positivamente aggressivo, perennemente alla ricerca di nuove opportunità.
Ne sono molto lieto. E' una persona caratterialmente assai diversa da me, ma a entrambi piace addentare la vita, per mangiarcela tutta, senza "se" e "ma", in ogni campo.
       Da lunedì, quindi, caro amico mio si ricomincia. Inoltre è un grande conoscitore di ristoranti e quello - per noi dichiarati "bon vivants" - giova sempre.

                           Piero Visani

Nel buio della notte

       Nel buio della notte, tutto diventa più chiaro. I pensieri corrono più veloci, i sensi sono in tensione, acuiti dal silenzio assoluto che mi circonda.
      C'è una sovrana bellezza nella notte, una bellezza che ho scoperto da giovanissimo e che ho sempre portato con me, come segreta, intimissima amica. Bella e infedele, come solo certe donne di classe sanno essere. Fedeli peraltro a un proprio canone, non sempre condivisibile, ma comunque rispettabile.

                           Piero Visani

venerdì 28 agosto 2015

"Sympathy for the Devil": 60.000 visualizzazioni!

      Quando iniziai questo blog, l'11 dicembre 2012, lo intesi soprattutto come un esercizio di scrittura terapeutica di tipo personale e forse tale esso rimase, almeno per i primi mesi.
      Successivamente, però, ci presi gusto nel farlo, perché mi consentiva di scrivere tutto ciò che mi veniva in mente e, avendo io una mente alquanto creativa, gli stimoli e le suggestioni sono state molte.
       Da allora sono passati poco più di due anni ed otto mesi, e il blog non ha smesso di ampliarsi, raccogliendo valutazioni lusinghiere, parole di incoraggiamento e soprattutto visualizzazioni, con punte, in alcuni giorni, di addirittura 350 pagine lette (che sono tante per me, ovviamente, non in assoluto).

       Oggi gli sono molto affezionato, come una mia creatura, e - solo pochi giorni fa - le bellissime parole che uno dei massimi storici militari italiani ha speso per commentarlo, non solo nella sua parte storica, ma in assoluto, mi ha fatto molto piacere e riempito di orgoglio.
       Per quanto di indole assolutamente narcisistica, sono lungi dall'autoincensamento e dalla "captatio benevolentiae", per cui mi limito a sottolineare il raggiungimento delle 60.000 visualizzazioni come piccolo traguardo personale, conseguito dando fondo a tutti gli aspetti della mia multiforme personalità e dei miei molteplici interessi.
       Ringrazio tutti i lettori che hanno consentito il raggiungimento di questo piccolo obiettivo, conseguito senza fare ricorso al benché minimo apporto pubblicitario (che non è di mio interesse) e tanto meno avendo a mente considerazioni prudenziali e di "correttezza politica". Sono nato ribelle e, essendo arrivato a 65 anni senza minimamente essere tentato di cambiare, non credo che lo farò per il futuro. Continuerò a scrivere - in tutta serenità - di ciò che mi gusta e mi disgusta. 
       So bene che, proprio a seguito del blog, qualche ostilità anche forte - più spesso personale, più raramente politico-culturale - l'ho suscitata, ma ho messo tutto in conto, anche e soprattutto scrivendo con estrema consapevolezza esattamente quello che ho scritto. Non avessi inteso farlo, non l'avrei fatto.
       Grazie a tutti!

                                         Piero Visani




giovedì 27 agosto 2015

Le giuste motivazioni

       Chissà se, dopo "l'omicidio in diretta" di Roanoke (Virginia), dove un nero ha freddato una giornalista televisiva e il suo operatore, entrambi bianchi, con la motivazione "che erano soliti fare commenti razzisti", verrà vietato in tutti gli Stati Uniti l'utilizzo della bandiera unionista per manifesto fallimento del suo presunto disegno politico antirazziale. Vedremo...
       A meno che, essendo il fatto avvenuto in uno Stato del Sud, non si tratti di un avvertimento lanciato ai bianchi locali. Del resto, i bianchi sono una razza palesemente in estinzione e cercare di accelerare una deriva apparentemente inevitabile non è poi così grave. Se poi si dovesse scoprire che i due erano addirittura filo-sudisti, allora una medaglia al valore, all'omicida, non la toglierà nessuno.

                          Piero Visani

Pensare l'impensabile

       Parafrasando il titolo di una celebre opera di uno studioso bizzarro ma intelligentemente provocatorio come Herman Kahn, è mia opinione che, tempo qualche anno - se dovesse proseguire la tendenza attuale - lo Stato procederà al censimento delle proprietà immobiliari non abitate e comincerà a pretendere di insediarvi extracomunitari. Il tutto per continuare nell'immondo mercato che alimenta oggi Stato e Chiesa, e per abbattere altresì il valore del patrimonio immobiliare nazionale, su cui si precipiteranno quei potentati finanziari che a Stato e Chiesa stanno dietro.
       Poi sarà la volta degli immobili di grandi dimensioni abitati da poche persone (ovviamente escluse ville e castelli degli appartenenti alla casta) e successivamente di quelli normali abitati da anziani, single e infine vere e proprie famiglie.
       Del resto, quando un business si rivela gigantesco, anche gli appetiti che esso smuove diventano giganteschi e, in un Paese sostanzialmente servile come il nostro, si tratta solo di scegliere la forma di persuasione giusta per sodomizzare l'elettorato. Ad esempio, l'iscrizione al PD potrebbe diventare un viatico per l'immediata esenzione dalle liste di soggetti obbligati all'accoglienza forzosa di immigrati.
       Sono certo che tutti sorrideranno o daranno una scrollata di spalle di fronte a questa mia e io sarò ben lieto di poter essere smentito. Dico solo che "chi vivrà vedrà". E non ditemi che verrebbe una rivoluzione, perché in questo Paese di servi sodomiti non è mai venuta e neppure ora verrà.
       A me, l'italiano medio ricorda quel personaggio del cabarettista Raul Cremona, tale "Omen", che inveisce tutto il giorno contro la moglie (lo Stato), anche con epiteti irriferibili, e che, quando lei (lui, lo Stato) gli telefona, scatta sull'attenti e comincia a balbettare.
       Le derive da servilismo e opportunismo finiscono male, molto male, specie per la bassa forza. Diventeremo "neri" non per caso. Questa la ragione per cui occorrerebbero politiche molto più intelligenti che la semplice ripulsa.

                                              Piero Visani

mercoledì 26 agosto 2015

I mercati



      Ascoltando i commenti giornalistici sugli attuali alti e bassi dei mercati, ci si rischia di convincere una volta di più che i mercati stessi abbiano un'anima ("i mercati sorridono", "positiva risposta dei mercati", "cosa diranno i mercati?").
       Delle vite degli esseri umani, ai mercati pare importare assolutamente nulla, e cosippure non importa alcunché ai giornalisti, le cui sempre più fragili esistenze professionali sono nelle mani di quanti controllano e indirizzano i mercati stessi.
      Questa trasformazione dei "mercati" da esseri inanimati a esseri provvisti di un'anima (si fa per dire, ovviamente...) è un'evoluzione inquietante, che testimonia una volta di più come il capitalismo leghi il concetto di libertà alla disponibilità di denaro, possibilmente molto cospicua, e agli andamenti di tale disponibilità.
      Mi piacerebbe, un giorno, conoscere personalmente "i mercati". Non vorrei che, nel farlo, mi toccasse riconoscere tratti etnico-somatici ben precisi e quel senso di umanità che ha ridotto la Grecia a un Paese da Quarto Mondo. Per il suo bene, ovviamente, perché viveva al di sopra delle sue possibilità. Un po' come i mercati, che vivono in un delirio di onnipotenza e in una concezione iconica del denaro che fa inesorabilmente montare nel cuore un forte desiderio di iconoclastia. 
       Ma siamo liberi, siamo liberi: decidono tutto i mercati...

                                            Piero Visani

martedì 25 agosto 2015

Carlo Fecia di Cossato

       A differenza di quanto si cerca comunemente di farci credere (il riduzionismo è la via maestra verso l'egalitarismo verso il basso...), l'Italia non è stata e non è popolata esclusivamente da omuncoli e quaquaraquà, ma ha conosciuto, nel corso della sua storia, figure limpidissime e nobilissime, animate da un'etica profonda, del tutto immuni da qualunque tentazione di consociativismo, captatio benevolentiae verso i padroni di turno, inclinazione a cambiare continuamente bandiera.
       Da questo punto di vista, la storia di Carlo Fecia di Cossato è esemplare, perché egli fu al centro di scelte personali e politiche difficili, ma dalle quali riuscì sempre ad uscire nel migliore dei modi, salvaguardando il suo onore, cioè una componente etica alla quale molti dei suoi compatrioti non furono mai troppo sensibili e un valore di cui oggi i più ignorano assolutamente il significato.
       Nato a Roma il 25 settembre 1908, da antica famiglia nobiliare piemontese dalla ricca tradizione militare, dopo aver completato gli studi superiori presso il Real Collegio di Moncalieri, entrò all'Accademia Navale di Livorno, dove uscì nel 1928 con il grado di guardiamarina.
       Il suo primo decennio di servizio fu particolarmente denso di eventi e, tra le altre cose, lo vide partecipare alla campagna d'Etiopia (1935-36) e alla Guerra Civile spagnola (1936-1939).
       Nel 1939 frequentò la Scuola Sommergibili di Pola e l'anno successivo venne promosso al grado di Capitano di Corvetta e nominato comandante di sommergibile.
      Il 10 giugno 1940, al momento dell'ingresso dell'Italia nel secondo conflitto mondiale, Fecia di Cossato era al comando del sommergibile "Ciro Menotti", che compì numerose missioni nelle acque del Mediterraneo.
       Nell'autunno di quello stesso anno, venne trasferito alla base Betasom di Bordeaux, dalla quale operavano i sommergibili italiani chiamati a contrastare il traffico alleato nell'oceano Atlantico. Il successivo 5 aprile 1941 assunse il comando del sommergibile "Enrico Tazzoli" e qualche giorno dopo ebbe inizio la sua brillante attività operativa, che lo portò a essere insignito di importanti decorazioni tanto da parte della Marina italiana (fino ad arrivare alla medaglia d'oro al valor militare) quanto di quella tedesca,
       Nel corso della sua azione come comandante del "Tazzoli", Fecia di Cossato realizzò 17 affondamenti, mentre un 18° affondamento, relativo a un incrociatore britannico, è rimasto controverso. In totale, egli riuscì ad affondare naviglio nemico per quasi 90.000 tonnellate, dimostrandosi uno dei più validi comandanti sommergibilisti italiani.
       Personalità singolare, appassionato di letteratura erotica, carattere incline al beau geste, si racconta che - dopo aver affondato un mercantile panamense al largo delle coste americane - salì in torretta brandendo un Tricolore e invitando i naufraghi a raccontare che i sommergibili italiani ci venivano eccome ad affondare navi al largo delle loro coste, a differenza di quanto sostenuto dalla propaganda USA.
       Nel febbraio 1943, Fecia di Cossato lasciò il comando del "Tazzoli" per assumere quello della III Squadriglia Torpediniere, con il grado di capitano di fregata. Qualche mese dopo, la notizia che il "Tazzoli" era affondato in circostanze poco chiare, portando con sé tutto l'equipaggio, lo turbò profondamente. Una delle componenti essenziali del suo stile di comando, infatti, era un rapporto molto stretto e cameratesco con i suoi subordinati, i quali erano soliti dimostrare un attaccamento molto forte a un comandante così sensibile alle loro esigenze.
       L'8 settembre 1943, Fecia di Cossato era in navigazione da La Spezia verso Bastia, in Corsica, al comando della corvetta "Aliseo". Fu in quel porto che apprese la notizia dell'armistizio. Il giorno successivo, mentre la sua nave veniva attaccata da ingenti forze tedesche, egli si mantenne fedele al re e reagì vigorosamente agli attacchi germanici, Successivamente, sempre al comando della sua unità egli raggiunse Malta, dove fu profondamente turbato delle condizioni umilianti in cui era stata ridotta dagli Alleati la squadra navale italiana.
        Fu in quei difficili mesi che Fecia di Cossato maturò il convincimento di essere stato l'involontario protagonista di una resa ignominiosa, alla quale egli si era piegato solo in ossequio a un ordine del sovrano e del suo giuramento al re.
       Nel giugno 1944, il nuovo governo italiano, presieduto da Ivanoe Bonomi, si insediò in carica rifiutando di giurare fedeltà a Vittorio Emanuele III. Questa fu la lacerazione decisiva, che indusse Fecia di Cossato a ritenersi sciolto da ogni giuramento precedente e in particolare dall'obbligo di obbedire agli ordini emanati da un governo che non aveva giurato fedeltà al sovrano.
      Tale decisione provocò ovviamente la reazione del Comando Supremo della Marina, che lo sollevò dal comando dell'"Aliseo" e lo fece mettere agli arresti. Questa scelta provocò però grave disagio tra gli equipaggi di stanza nella base di Taranto, che incominciarono a tumultuare e a chiedere l'immediata liberazione di Fecia di Cossato e il suo reintegro in comando. Onde evitare che la situazione degenerasse, i comandanti della Marina disposero l'immediata liberazione di Fecia di Cossato, ma lo inviarono in licenza per tre mesi.
      Fu in questo periodo che egli maturò il suo dramma: aveva obbedito all'ordine del re di consegnare l'unità al suo comando a quello che, fino al giorno prima, era stato il nemico e, attaccato da unità tedesche, aveva reagito con estrema vigoria, a differenza di molti altri che si erano limitati a scappare, nei giorni dell'8 e 9 settembre. Ai suoi occhi, tuttavia, il cambiamento repentino di campo voluto da Vittorio Emanuele III era un gesto assolutamente inaccettabile, che ripugnava alla sua coscienza di soldato. Al tempo stesso, l'avere ubbidito fedelmente agli ordini del re non aveva impedito che entrasse in carica un governo che pareva decisamente ostile all'istituto monarchico, che per Fecia di Cossato era una fede.
       Dopo aver tentato invano di ottenere un colloquio privato con il principe Umberto, al quale intendeva evidentemente spiegare la sua posizione, non potendo rientrare al Nord, nell'Italia divisa in due dal conflitto, si trasferì da Taranto a Napoli, ospite di un amico.
        Su questo trasferimento è stata imbastita, nel corso degli anni, una patetica manovra, intesa a sporcare la nobile figura di un grande combattente. Fin dal 1939, infatti, Carlo Fecia di Cossato intratteneva una relazione con una nobildonna napoletana. Relazione non ignota, in certi ambienti, ma che egli aveva sempre cercato di mantenere sotto traccia e priva di serie implicazioni, in quanto la signora era moglie di un collega di Marina.
       Dopo che, il 27 agosto 1944, egli decise di suicidarsi, sparandosi un colpo di pistola alla tempia, si è cercato di far diventare questa relazione senza possibili sbocchi la "causa vera" del suo suicidio, in modo da ridurre - con tipico stile italico - un gesto nobilissimo a una banale storia d'alcova.
        Non è così e, per comprenderlo, è sufficiente la lettera-testamento che egli scrisse alla madre; una lettera bellissima, che parla al cuore di tutti coloro che, all'interno del medesimo, conservano un minimo di lealtà e dignità:

Mamma carissima,

quando riceverai questa mia lettera saranno successi dei fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile.

Non pensare che io abbia commesso quello che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuro.

Da nove mesi ho molto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, a cui mi sono rassegnato solo perché ci é stata presentata come un ordine del re, che ci chiedeva di fare l'enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della Monarchia al momento della pace.

Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato.

Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso.

Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d'uscita, uno scopo nella mia vita.

Da mesi penso ai miei marinai del Tazzoli che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è con loro.

Spero, mamma, che mi capirai e che anche nell'immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai capire la nobiltà dei motivi che mi hanno guidato.

Tu credi in Dio, ma se c 'è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell'ora.

Per questo, mamma, credo che ci rivedremo un giorno.

Abbraccia papà e le sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato.

In questo momento mi sento vicino a tutti voi e sono sicuro che non mi condannerete.

Carlo”


       Chi scrive ritiene che la vicenda di Carlo Fecia di Cossato sia paradigmatica di un dramma italiano tuttora irrisolto, quello dell'8 settembre 1943. Essa dimostra che anche gli uomini che, per fedeltà dinastica al re, fecero la scelta del "cambio di campo in corsa", non tardarono a comprendere lo straordinario inganno di cui erano stati oggetto e il pozzo senza fondo in cui tale inganno aveva gettato non solo essi, ma la stessa monarchia, che di quell'inganno era la principale responsabile.
       Di fronte a tale constatazione (che peraltro fecero solo alcuni), la maggioranza del popolo italiano si preoccupò come sempre di acconciarsi ai nuovi padroni, incurante di qualsiasi esigenza di dignità e onore. Parole vuote, per i più, facilmente sostituibili con prebende e carriera, o semplice sopravvivenza.
       Carlo Fecia di Cossato, per contro, capì giustamente che il dramma di un'intera Nazione era anche un suo dramma personale e fece la scelta migliore: si suicidò ed evitò così il disonore. La Nazione (ma possiamo davvero definirla così?) scelse invece di non suicidarsi e di vivacchiare alla meno peggio come ha fatto per secoli. Non direi però che sia riuscita ad evitare il disonore, o l'indegnità più totale.

                                      Piero Visani






       

domenica 23 agosto 2015

"Carpe diem"... o dell'antiparlamentarismo

      Penombra.
      Pausa.
      Silenzio, rotto però dalle parole di Alice, distesa a fianco a Carlo, che lo investe con una "pillola di saggezza": "in un mondo sempre più avviato verso il disastro, non ci resta che il carpe diem, mio caro!".
       "Hai ragione" - annuisce Carlo - "ma mi posso permettere un rilievo?"
       "Prego!" - sorride Alice, vagamente ironica.
       "Conosco donne che ne parlano assai, del carpe diem, ma che lo pratichi attivamente conosco solo te".
        "Il tuo problema, mio caro, è che tu conosci troppe borghesucce: piccole, medie, alte".
        "E' vero" - ammette Carlo - "è la mia dannazione, da sempre".
       "Donnette che parlano, parlano, e non concludono mai nulla e, più si avvicinano a una possibile conclusione, più si tirano indietro", sorride maliziosa Alice.
       "E' il senso di peccato che si portano dietro", rincara la dose. "Sanno fare tutto, meno che dispensare felicità. Non sono donne accoglienti, ma respingenti. Hanno sempre qualche piccolo obiettivo da cogliere, e vogliono essere sicure di coglierlo, prima di - eventualmente, ma molto eventualmente... - lasciarsi andare. Sono donne che sanno parlare, talvolta alludere, spesso sedurre. Fare, mai! O quasi mai".
        "Sono assolutamente d'accordo" - ribatte Carlo - "Il loro carpe diem, quando si manifesta, è molto dialettico, molto teorico, per nulla pratico".
       "Non sanno quello che perdono" - si stira con fare gattesco Alice, scoprendo un frammento di seno definibile come rigoglioso, nella sua pienezza.
       "Parlano, parlano. Alludono e il più delle volte illudono" - filosofeggia Carlo. "Il loro carpe diem è fatto di parole vuote e di proponimenti perennemente disattesi, o elegantemente schivati. Un tripudio dialettico, mai fattuale".
       "Allora" - sogghigna soavemente Alice - "potremmo dire che il nostro è un vero carpe diem... o dell'antiparlamentarismo...".
       "Sei colta, culta, divertente e ironica" - riconosce Carlo con un ampio sorriso, di fronte a questo accenno di battuta.
       "Lo so bene: sono una superdonna e una superfemmina" - celia Alice - "Ma ora bando alle ciance"...

                        Piero Visani


                    

venerdì 21 agosto 2015

Riso amaro


       Mi rigiro per le mani un vecchio documento dell'amministrazione statale, in cui mi si avverte che, "nel caso intendessi portare avanti la mia domanda di recupero del credito IVA da me maturato", la mia società (chiusa da quasi un decennio, non sono scemo...) "sarà oggetto di un accertamento fiscale"...
       Rido, rido e ancora rido (amaramente).
       Il giorno in cui ricevetti quella lettera compresi in via definitiva - ammesso e per nulla concesso che avessi ancora dei dubbi in merito - la reale natura del potere che ci governava e governa.
       Così, quando sento i miei connazionali strepitare come oche per un funerale di potere riuscito non benissimo, forse per un soverchio gusto per il kitsch, mi chiedo se - nel 2015 - ci sono o ci fanno. Perché uno deve essere vissuto davvero molto lontano dai patri lidi per potersi interrogare ancora oggi sulla reale natura del potere statale, che è una sola, mai negata e talvolta addirittura orgogliosamente rivendicata.
       Così mi chiedo: ma noi italiani siamo solo un popolo di coglioni, o siamo tutti collusi al punto da non voler vedere ciò che è evidente? E andare magari a rileggersi qualche dichiarazione "pre-mortem" delle vittime della mafia, e vedere in quale direzione puntano il dito? Verso Riina, verso Provenzano? Suvvia, siamo seri.

                       Piero Visani

Déjà vu


       Madame Le Pen espelle il padre dal partito. Ennesimo tentativo di andare al potere con le idee degli altri. Già successo, anche in Italia. Siccome le "idee degli altri" comportano anche e soprattutto furti e malversazioni varie, avremo l'ennesimo partito "normale", i cui esponenti - oltre a rubacchiare ed a mostrarsi sempre molto "politicamente corretti" - viaggeranno spesso in direzione Washington e Gerusalemme. Per prendere ordini, ipotizzo...

      "Nihil sub sole novi". E lo dico precisando che il FN non mi è mai piaciuto, né prima né dopo. Troppo pateticamente reazionario.

                                 Piero Visani

"Redditometro", "spesometro" e "Mafiometro"


       In questa cloaca a cielo aperto che qualcuno (illuso, fesso totale, complice...?) si ostina a chiamare "Stato italiano", il cittadino qualunque - oggi più correttamente definibile "suddito medio" - è soggetto a ogni tipo di controlli: quanto hai guadagnato in un anno, perché, dove, come? In che maniera hai speso i tuoi soldi? Hai osato spendere più di mille euro in una volta sola?
       Siamo tutti costretti a tenerci un sacco di contanti, per evitare che i "volonterosi carnefici" si facciano i fatti nostri e a organizzarci con astuzia per tutelare i nostri già modestissimi proventi.

       Controlli di tutti i tipi e generi, e se qualche protervo rappresentante dello "stato-Mafia" ti accusa di qualcosa, l'onere della prova - esattamente come ai tempi dello sceriffo di Nottingham - è a carico della difesa, senza che nessuna delle sovrane teste di mulo cresciute nella "patria del diritto" e avendo abbracciato la professione legale osi levare una voce (non ho scritto alzare un dito...) per protestare contro queste continue violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini.
       Sei iscritto a un club sportivo? Sei ricco. Hai fatto un viaggio aereo per prendere contatti con un cliente straniero? Sei ricco. Prendi il "Frecciarossa" più volte al mese per tenere i contatti con i tuoi clienti italiani? Sei ricco.
       Un fantastico sistema di controllo, una autentica "società sotto tutela". E, se ti colgono a "sgarrare", cominciano le persecuzioni, che possono durare anni e trasformarti in un poveraccio, senza né auto né proprietà

        Tutta questa terribile serie di controlli da società totalitaria viene invece "stranamente" meno quando c'è di mezzo un esponente dell'"onorata società", il quale defunge nel rispetto di tutti e gli viene organizzato un funerale che è un trionfo di mafiosità senza che, dal ministro degli Interni all'ultimo funzionario di polizia locale, ne sapessero alcunché (o facessero finta di...).
       La notizia di un evento del genere - riedizione del film "Il Padrino" - ha fatto il giro del mondo, provocando scandalo anche qui da noi e non si capisce perché, dal momento che - secondo voi - noi da chi saremmo governati? La vicenda e il ruolo di Lucky Luciano nella preparazione dello sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943 ricordano niente a nessuno?

       A me, in definitiva, stupisce lo stupore. Qui da noi, se appartieni all'"onorata società", sei trattato con tutti gli onori. Se no paghi il "pizzo" allo "stato-Mafia" e ai suoi organi. E taci, taci e sopratutto taci. Paghi il "pizzo" fiscale e taci, e non ti offrono neppure protezione. Sono stato abbastanza chiaro?
Il finto scandalo è solo una copertura, tanto per sollevare un po' di fumo sulla realtà.

                                  Piero Visani

Have Mercy on a Criminal

       Il funerale di oggi a Roma, colonna sonora compresa, mi è parsa la più adatta delle esequie per lo stato-Mafia che ci governa. C'è stato un passaggio di potere, ben eseguito...

                                          Piero Visani

Blog "Sympathy for the Devil": Classifica dei post più letti (21 Luglio - 20 Agosto 2015)

       Il periodo 21 Luglio - 20 Agosto 2015 ha visto confermato un forte numero di visualizzazioni, come nel mese precedente, ed esse sono arrivate a un totale di circa 59.500.
      La classifica generale dei post maggiormente visti non ha subito significativi mutamenti di vertice, fatta eccezione per la sempre più inarrestabile ascesa del post Non sarà il canto delle sirene, ormai arrivato al secondo posto, con un'ascesa che non pare volersi fermare:
  1. It's just like starting over, 569 (=) - 11/12/2012
  2. Non sarà il canto delle sirene, 260 (+66) - 06/08/2014 
  3. Non, je ne regrette rien, 240 (+5) - 29/12/2012
  4. Un'evidente discrasia (in margine ai fatti di Parigi), 196 (+1) - 8/1/2015
  5. Quantum mutatus ab illo!, 170 (+1) - 20/05/2013
  6. Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz, 133 (+7- 29/01/2014
  7. Umberto Visani, "Ubique", 127 (=) - 19/04/2013
  8. Tamburi lontani, 124 (=) - 9/1/2015
  9. Richard: sensi, desiderio e piacere, 120 (=) - 19/06/2015
  10. Le donne accoglienti, 109 (+5) - 15/03/2013
  11. Storia della Guerra - 14: L'esercito di Federico il Grande, 107 (+11) - 19/10/2013
  12. La rivolta di Pasqua (Dublino, 1916), 106 (+1) - 31/03/2013
  13. La verità è sempre rivoluzionaria, 102 (+2) - 21/03/2013
  14. Gli aggiustamenti "borghesi", 100 (=) - 05/02/2014
N.B.: I titoli in colore blu indicano che il post è progredito nella classifica generale; i titoli in colore rosso che il post è una new entry ai vertici della classifica (prime 10-15 posizioni), dove prima non era presente.

       Tra i titoli che erano già comparsi nella classifica stessa, è proseguita la marcia apparentemente inarrestabile del post Non sarà il canto delle sirene, che ha ulteriormente accelerato il suo ritmo di crescita, che prosegue ormai da tre mesi, con una progressione davvero significativa: +16 visualizzazioni il primo mese, + 23 il secondo, +59 il terzo e ora +66, una crescita che lo ha portato al secondo posto della classifica generale. Mi sono chiesto le ragioni di tale insolito fenomeno e pare siano da attribuire ai favori del pubblico, che ha gradito molto questo racconto breve ma intenso, di taglio scopertamente autobiografico.
       Da segnalare, inoltre, i miglioramenti di posizione in classifica di alcuni post già presenti ai vertici della medesima, come Elogio funebre del generale August Wilhelm von Lignitz, Le donne accoglienti e La verità è sempre rivoluzionaria.
       L'unica new entry di vertice del mese è stata Storia della Guerra - 14: L'esercito di Federico il Grande, che ha ottenuto tale brillante risultato grazie a +11 nuove visualizzazioni.

       Per quanto concerne i migliori risultati del solo mese preso in esame, la palma del primato spetta a I miei primi 65 anni (con 52 visualizzazioni), seguito da Scorribande notturne (35 visualizzazioni) e da "War Films": Recensione (33 visualizzazioni).
 
       Per finire, le visualizzazioni sono salite a circa 59.500 e i post a 1.889, il che ha fatto rimanere stabile a 31,5 il numero medio di visualizzazioni a post.


                                              Piero Visani





mercoledì 19 agosto 2015

Altro dubbio amletico



       Mi sono sempre chiesto per quale ragione gli italiani - un popolo letteralmente fatto a pezzi, nel corso della storia, dalle proprie classi dirigenti - si continuino a considerare un "popolo di furbi" e l'unica risposta che ritengo plausibile a questo dubbio amletico è che essi, sia pure senza alcuna identità che non sia quella individuale, siano riusciti a sopravvivere a classi dirigenti di tal fatta, di cui la successiva è sempre peggiore dell'antecedente.
       Forse in questo consiste il miracolo italiano e questa la sua secolare furbizia, che gli ha consentito di sopravvivere - per quanto malamente - a una tale accolita di ladri, insipienti, incompetenti e malfattori.
       Devo dire che, personalmente, avrei preferito una radicale ribellione e una totale "tabula rasa", ma penso che la cosa sia relativamente impossibile, in quanto gli italiani non credo vogliano cambiare il loro modo di vivere, ma semplicemente sostituirsi ai governanti esistenti, per poi riprendere l'andazzo preesistente e ricreare situazioni già viste. Se così non fosse, non si spiegherebbe il sedimentarsi di uno schifo assoluto: il nostro non è un Paese da cambiamenti (né parziali né tanto meno radicali). Semmai, è il Paese del progressivo allargarsi delle compromissioni: compromissione per cooptazione... La compromissione per cooptazione è gradita a tutti (o quasi) e tutti la praticano "ad abundantiam", se appena se ne offre loro l'occasione.

                                Piero Visani

Piccole ingenuità

       Qualche volta, nel vasto teatro della vita, sono stato tentato da qualche "scrittura fasulla" che io, per mera ingenuità, ho preso per vera. Di indole rettilinea, ci metto sempre un po' di tempo a capire che certe signore amano gli esercizi di seduzione per autorassicurazione e come "tagliando anti-aging" (se proprio si vuole essere perfidi), specie se - come è solito dire un mio carissimo amico genovese, grande appassionato di calcio - "sono all'85° e non sono previsti supplementari, al massimo rigori..."
       Un po' di smarrimento da parte mia; qualche dolorosa sorpresa per essere stato preso in giro sostanzialmente senza meritarlo; un po' di inevitabile sofferenza per la buona fede carpita; e infine un po' di necessario pareggiamento dei conti, tanto per chiarire che è meglio soffrire in due, piuttosto che da soli, specialmente se - come nel mio caso - si ha una naturale inclinazione all'overkilling...
        Tuttavia, a gioco lungo, l'aver peccato di ingenuità lascia complessivamente sereni, perché non si è mentito o barato, ma semmai ci si è dimostrati troppo creduloni. La creduloneria è certamente un difetto, ma è frutto di un eccesso di fiducia e sincerità. Non è una cosa brutta e tanto meno lesiva come l'astuzia finalizzata al conseguimento di risultati.
       Così ci si ritrova tranquilli con la propria coscienza: se si è stati feriti, al massimo si è colpito per reagire, mai per fare male di propria iniziativa, e soprattutto si è più che certi di aver tenuto un comportamento onesto e rettilineo. E ci si guarda sereni allo specchio, sapendo che, se si è commessa un'ingenuità una volta, non necessariamente la si commetterà due e tanto meno si smetterà di cercare le persone oneste e vere, che esistono, che non mancano, che sanno ripagare dei piccoli errori commessi per ingenuità.

                            Piero Visani


martedì 18 agosto 2015

Colonna sonora - 3


       La prima volta che misi piede a Mosca (inizi novembre del 1993), la prima canzone che sentii, sull'auto della mia escort (uomo, ex-KGB), fu "My Sweet Lord", di George Harrison. Sebbene molto interessato al tragitto tra l'aeroporto di Sheremetyevo e il centro città, dove ero atteso, non potei fare a meno di soffermarmi a pensare alla singolarità di quella coincidenza: una canzone dei Beatles, di argomento religioso. Il primo aspetto mi piacque; il secondo - chi mi conosce lo sa - mi inquietò profondamente.
       Poi le fantastiche cromazioni di Mosca mi affascinarono e mi distrassero, e non ci pensai più, perso come rimasi a guardare quelle immagini e quelle persone che, in una giornata uggiosa, parevano tutte come nascoste dietro un "flou".
       La Russia mi colpì molto, in positivo.

                            Piero Visani

Colonna sonora - 2

       Vi risparmio il fatto che, la prima volta che misi piede negli USA (26 giugno 1988, saletta VIP dell'aeroporto Kennedy, dove ero stato portato in quanto partecipante all'International Visitor Program del Dipartimento di Stato), la prima canzone che sentii - giuro!! - fu "Finché la barca va", cantata da Orietta Berti... A me e Michele Nones, mio compagno di viaggio, venne per un attimo il dubbio che si trattasse di un solito omaggio di parte americana alla nostra "italianità", così come la intendono loro e anche molti di noi, ahimè (come l'Oscar a un film profondamente anti-italiano come "Mediterraneo"). Ma siccome la saletta VIP era piena di persone di molte altre parti del mondo, il dubbio venne meno. E cominciammo a ridere come due stupidi: se quello era il nostro primo passo verso l'internazionalizzazione, beh, quanto meno era singolare...

                             Piero Visani

Colonna sonora

       1° agosto 1974, primo pomeriggio. Arrivo per la prima volta nella mia vita a Edimburgo e in Scozia. Tendo l'orecchio, come d'abitudine, a quella che sarà la prima canzone che sento. Non attribuisco alla cosa particolari valenze, ma ritengo che la vita sia musica e cerco di capire che colonna sonora avrà o potrà avere questa mia prima esperienza scozzese. Non devo aspettare molto, perché, sul bus che mi porta al terminal, ecco:




Piero Visani

Armatevi e... partite pure, prego!

       Nel "furore" bellicista che pare aver colto alcune gazzette nostrane, paiono essere state scordate alcune verità militari elementari:
1) il potere aereo nulla controlla e nulla controllerà. Può fare vittime anche tra il nemico, ma non ha mai vinto alcun conflitto, se non accompagnato da una solida componente terrestre.
2) Si calcolano in 200.000 uomini le forze necessarie a controllare la Libia. Ah sì, e per quanto? E con quali costi, umani e materiali? Da parte di Stati notoriamente ricchi di uomini e soldi...
3) Non pare essere saltato in mente a molti che, se si inseriscono forze militari tradizionali in un contesto locale molto contrastato, l'unico effetto che la loro discesa in campo provoca è il venir meno di tutte le rivalità interne e la progressiva costituzione di un fronte unico anti-invasori. Molto meglio sarebbe, sotto il profilo militare, scegliere una fazione e puntare risolutamente su quella, a scapito delle altre. Una scelta del genere avrebbe non poche implicazioni politiche, ma servirebbe a dividere i potenzialmente ostili e a ridurre a volumi più ragionevoli le forze di intervento necessarie.
4) Sarà divertente vedere gli europei portati in guerra: glielo dicono gli USA dal 1945, la Chiesa da sempre, che la guerra fa schifo. Forse pensano alla solita guerra "post-eroica" combattuta a colpi di droni? Forse un giro gratuito presso le sale parto degli ospedali italiani potrebbe servire a raffreddare questi ardori ridicolmente bellicisti, dicendo loro alcune amare verità sui dati demografici? Noi non abbiamo più un passato (ce lo hanno tolto a forza), non abbiamo più un presente (stretti come siamo tra tasse e corvées varie) e tanto meno possiamo avere un futuro (i nostri giovani fuggono giustamente da questi ospizi a cielo aperto, dove le loro speranze sono deliberatamente sacrificate alla conservazione dell'esistente). Qualche fessacchiotto disposto a morire per Angela Merkel e sodali, magari confondendo le sue personali mitologie infantili e guerrafondaie con la realtà, ci sarà pure, ma qualcuno ha in mente che cosa potrebbe succedere qui una volta iniziato il conto delle bare, con ritmi sicuramente accelerati rispetto alle abitudini attuali?
       E invece, una volta di più, nulla di più intelligente che caricare Stati con i conti pubblici già a picco di ulteriori, inutili spese, magari per salvare il modo di vita occidentale, quello dei "beati possidentes" che mandano i soldati a morire in nome e per conto loro. Una riedizione aggiornata del "mors tua, vita mea" (e che vita, tra pensioni e vitalizi!).
       Che pena!

                                Piero Visani

lunedì 17 agosto 2015

"War Films" - Recensione

       Il Quaderno 2015 della Società Italiana di Storia Militare (Acies Edizioni, Milano), a cura di Stefano Pisu, è dedicato al tema dei War Films. Interpretazioni storiche del cinema di guerra.
       Si tratta di un volume di quasi 700 pagine, che mi sono letteralmente divorato, perché ci sono pochi temi che mi interessino di più del rapporto fra guerra e rappresentazione della medesima, con tutte le conseguenze e le interazioni che si sviluppano reciprocamente.
       Cominciai a interessarmi a queste problematiche nella seconda metà degli anni Novanta, a seguito di una serie di incarichi istituzionali, e ne tradussi alcune conclusioni in un libro intitolato Lo stratega mediatico (Edizioni della Rivista Militare - Cemiss, Roma 1998). Da allora - com'è ovvio - la ricerca e l'analisi sul tema sono andate molto avanti e, sotto questo profilo, War Films rappresenta un utile tentativo di sistematizzazione dello "stato dell'arte".
       L'opera si propone di mettere a fuoco lo studio del binomio guerra-cinema con i più aggiornati strumenti della ricerca scientifica, mantenendosi nel contempo pienamente aperta al fatto che la dialettica "guerra - narrazione della medesima per immagini" ha subito un'evoluzione radicale e molto rapida a partire dalla guerra del Vietnam e, in termini decisamente più significativi, dopo il conflitto del Golfo del 1990-91, per poi accelerare costantemente in seguito, anche in conseguenza dell'apporto di sempre nuovi mezzi di comunicazione.
       Questo denso volume è diviso in varie sezioni, tutte impegnate in un opportuno sforzo di sistematizzazione di una tematica complessa e articolata, che appare comprensibilmente difficile ricondurre a un'impostazione unitaria.
       Per cominciare, la sezione Studiare i war films comprende contributi che si propongono di stabilire le coordinate di fondo per un approccio scientifico al cinema di guerra. Ad essa fa seguito la sezione Tempi di guerra, che si propone di affrontare il ruolo del cinema quale strumento per la mobilitazione tanto nei regimi totalitari quanto nelle democrazie del Novecento.
       Viene poi la sezione L'arma più forte, incentrata sul ruolo propagandistico del cinema durante il regime fascista, mentre la sezione Autori e sottogeneri è dedicata a una analisi specifica di entrambi.
       Molto interessante mi è parsa la sezione Cinema Impero, che evidenzia come la produzione cinematografica sia una fonte privilegiata per una storia culturale del colonialismo e dei processi di elaborazione del proprio passato imperiale in alcuni grandi Paesi europei, mentre la sezione che probabilmente ha destato il mio maggiore interesse è quella denominata Altri schermi, dove l'interesse non rimane circoscritto soltanto al cinema, ma di fatto - come scrive il curatore - "potrebbe essere un'anticipazione su come proseguire una ricerca ad ampio spettro sul ruolo dei media audiovisivi nel (ri)costruire le guerre". In effetti - come nota lo stesso curatore - essa costituisce una fonte essenziale per interpretare l'odierna complessità dei fenomeni bellici e delle società che in essi sono coinvolte, in modo da dare il più possibile il senso della natura totale (...e totalitaria?) della guerra moderna, avviata verso complessità, stratificazioni e obiettivi di cui riesce difficile cogliere, se non la si segue con estrema attenzione, l'intima essenza.
        Nel complesso, un'opera di grande interesse, dove il gradimento dei singoli contributi è certamente legato ai gusti e agli interessi dei singoli lettori, ma dove il livello dei contributi stessi è sempre elevato e dove si possono trovare costantemente spunti assai stimolanti. Prosegue quindi, sotto l'illuminata guida di un grande storico come Virgilio Ilari, la benemerita opera di studio e approfondimento della Società Italiana di Storia Militare, alla quale mi onoro di appartenere.

                               Piero Visani





         
            


Il pomeriggio più lungo (La Haye Sainte, 18 giugno 1815)

       Con il termine histoire-bataille si era soliti definire, un tempo, quella storiografia che si interessava soprattutto di eventi, dimostrandosi poco o punto attenta a tutti gli altri fenomeni che caratterizzano il divenire storico.
       Per molto tempo, la storia militare è stata una componente per eccellenza della histoire-bataille, anche se, man mano che gli anni passavano, essa diventava una disciplina sempre più sofisticata, più attenta ai particolari, più ricca di implicazioni connesse alla psicologia dei combattenti, al funzionamento dei sistemi d'arma, alle dinamiche della sociologia di gruppo e naturalmente a una descrizione di prima mano di quell'atto supremo, apparentemente privo di segreti e in realtà del tutto sconosciuto (sovente sconosciuto perfino ai protagonisti), che è il combattimento.
       Una pietra miliare, in questa evoluzione verso la modernità, è stata un'opera celeberrima come "Il volto della battaglia" (The Face of the battle, nell'originale inglese, edito nel 1976), uscita per la prima volta in lingua italiana, per i tipi di Mondadori, nel 1978.
       La caratteristica principale de Il volto della battaglia era di presentare alcuni celebri scontri del passato (tra cui, non a caso, Waterloo), così come li avevano visti e sopratutto vissuti coloro che li avevano effettivamente combattuti, per cui lo storico non si era limitato a  raccogliere la classica documentazione sul tema, ma aveva condotto una lunga indagine tra diari, memorie, lettere private e pubbliche, testimonianze, producendo un quadro vivido di quella che fu una celebre battaglia per coloro che la vissero da protagonisti.
       Ponendosi sulla scia dell'opera di Keegan, un altro storico inglese, Brendan Simms, docente di Storia delle Relazioni internazionali all'Università di Cambridge, ha pubblicato nel 2014 The Longest Afternoon. The 400 men who decided the battle of Waterloo, che è già stata ripresa quest'anno in edizione tascabile dalla Penguin Books.
       The Longest Afternoon è un singolare caso di micro-histoire militare. L'Autore ha infatti eletto a protagonista del suo lavoro la fattoria di La Haye Sainte, posta esattamente al centro del campo di battaglia di Waterloo (ne consiglio la visita a tutti gli appassionati, per meglio comprenderne la natura del ruolo a livello tattico) e ha raccontato in dettaglio la storia dei 400 uomini della King's German Legion che vennero incaricati di difenderla dagli attacchi francesi e che la difesero fino al tardo pomeriggio di domenica 18 giugno 1815, cioè fino a quando riuscirono a farlo, prima di essere costretti a battere in ritirata.


       
       Il volume, scritto con stile assai vivido, si concentra sui circa 400 uomini del 2° Battaglione Leggero della Legione Tedesca del Re, al comando del maggiore George Baring, in larga misura provenienti dall'Hannover, Questa Legione, infatti, era stata costituita nel 1803 da re Giorgio III d'Inghilterra, che era anche Elettore dell'Hannover, quando le truppe francesi invasero quel territorio. Fedeli al loro sovrano, molti hannoveriani cercarono riparo in Inghilterra e si arruolarono nelle file della Legione (in sigla KGL), che ebbe un ruolo di rilievo in tutte le campagne del Duca di Wellington, in particolare in quelle nella penisola iberica tra il 1808 e il 1814 (qui di seguito le uniformi indossate dal 2° Battaglione Leggero nel giugno 1815).




       In meno di cento pagine, frutto però di una dettagliatissima ricerca storica, Simms ricostruisce la storia del battaglione e le vicende che lo portarono ad essere, sul campo di Waterloo, veramente nell'occhio del ciclone.
       Composto da uomini con una solida esperienza di combattimento e parecchie campagne alle proprie spalle, il battaglione oppose una tenacissima resistenza alle truppe francesi avanzanti e dovette abbandonare la difesa della fattoria solo quando il pomeriggio stava già scivolando verso la sera.
       L'Autore descrive con maestria una lotta disperata, condotta in condizioni di assoluta inferiorità numerica, solo parzialmente mitigate dal fatto che, in quanto membri di un'unità di fanteria leggera, i soldati del battaglione erano abituati ad agire da soli e con grande spirito di autonomia, in buona misura affrancati dalle rigide regole che vincolavano i comportamenti della fanteria di linea.
       Il quadro che ne scaturisce è quello di una lotta feroce, dove tutti paiono lucidamente consapevoli dell'importanza della posta in palio e dove uno spostamento di lato può essere la mossa che segna la differenza, per un singolo soldato, tra la vita e la morte, nel bel mezzo di una tempesta di proiettili. La descrizione è lucida, brillante, sempre molto tecnicamente accurata, per cui tanto il lettore digiuno di cose militari quanto quello esperto finiscono per sentirsi proiettati nel bel mezzo di una mischia feroce, dove si può vincere o morire, e dove la sopravvivenza pare rappresentare l'ultimo dei pensieri per tutti gli uomini coinvolti nello scontro, da una parte e dall'altra.
       Nell'insieme un libro molto bello e coinvolgente, incredibilmente ben documentato e che può piacere tanto agli appassionati di storia militare napoleonica quanto anche ai profani, purché ovviamente in possesso di una buona padronanza della lingua inglese..
        E' mia personale opinione che oggi non sia più possibile scrivere di storia militare se non che in forma così olistica, lasciando cioè ampio spazio alle esperienze e alle testimonianze dei protagonisti, onde evitare di produrre opere magari scientificamente molto valide, ma prive di quell'afflato umano che le nobilita e le rende più interessati anche per il lettore comune.

                                   Piero Visani

domenica 16 agosto 2015

Riflessione amara


       Se pensiamo a cosa ottenuto da pochi individui nel secondo conflitto mondiale, come il testé defunto Emilio Bianchi nella celeberrima "notte di Alessandria" del 19 dicembre 1941, si comprende agevolmente come la dimensione statale - con i suoi radicati meccanismi di raccomandazione, selezione alla rovescia e talvolta anche intesa con il nemico - sia, per l'Italia e gli italiani di buona volontà - quelli che per eccellere si affidano alle loro qualità personali e al merito, e a null'altro - una spaventosa palla al piede che ne ha affossato il destino storico e tuttora ne affossa il presente.
       Del resto, sono ancora frequentissimi i casi dei soggetti di valore che nel nostro Paese fanno gli operatori di "call center" o i commessi, e poi, approdati con molte fatiche all'estero, raggiungono in non pochi casi posizioni di assoluta eccellenza.
       Il problema - allora come ora - è la classe dirigente, la quale fa talmente orrore da poter sperare di tramandarsi solo per cooptazione, perché, se ciò dovesse accadere in qualsiasi altro modo, verrebbe spazzata via in un attimo.
       Tuttavia - e non bisogna farsi illusioni in proposito - tale classe dirigente orribile trova il più solido supporto nel cittadino medio, il quale, animato com'è da un unico valore realmente fondante - l'invidia - preferisce essere governato da inetti arrivati nei posti di comando per raccomandazioni, sponsorizzazioni e cooptazioni (una pratica che corrisponde, a diversi livelli, a quella che il cittadino medio ha seguito e spesso deliberatamente perseguito nel suo piccolo) piuttosto che da persone di valore, le quale gli farebbero misurare, dal vivo, tutta la sua inettitudine. Questo, per il piccolo burocrate medio italico, che alligna soddisfatto di sé in uffici pubblici e privati, preoccupato solo di cassare e vietare tutto ciò che di bello e nuovo gli avviene intorno, è una prospettiva francamente intollerabile. Così, preferisce sprofondare adagiandosi sulle pratiche già note piuttosto che tentare una strategia di salvezza.
       Tutti morti, sì, ma tutti uguali. L'italiano non è così individualista come abbastanza erroneamente si ritiene: lo è per le trasgressioni da strapazzo, ma per le cose positive e feconde è rigorosamente egalitario.

                       Piero Visani

Il carrello dei "bolliti"


       A fronte di un'Europa completamente ferma a livello economico, dove i dati sull'andamento del PIL fanno sorridere e smentiscono crudamente i fautori di una presunta ripresa, è divertente notare come le "ricette di intervento" siano sempre le stesse: più fiscalità, nessun smantellamento di mastodontici apparati pubblici, zero investimenti. Nulla di nulla.
       Nel Sessantotto, si chiedeva "l'imagination au pouvoir". Qui basterebbe un po' di "imagination", perché così l'unico futuro possibile è il disastro più totale.
       Siamo entrati nella fase in cui l'unica preoccupazione di politici e burocrati è - sul piano "visibile" - raccontare qualche fola e puntare alla preservazione, il più a lungo possibile, di prebende e privilegi, fregandosene bellamente di tutto il resto; sul piano "invisibile", il trasferimento di ogni tipo di patrimoni verso i più diversi "paradisi fiscali" (che tuttora esistono, oh se esistono...!).
       Di fronte a questa "conflittualità virtuale", che nasconde - e pure male - una "solidarietà assoluta", da noi il problema principale pare la "difesa dell'esistente". Certamente lo è, per politici, burocrati e titolari di prebende varie. Sicuri che lo sia anche per gli altri...? Davvero la morte per asfissia è così gradita?

                 Piero Visani

Vincitori e vinti


       Ho celebrato i perdenti, perché sono ingiustamente dimenticati. I vincitori, per loro fortuna, almeno no. Se per caso i perdenti sono ricordati, inoltre, c'è sempre qualche politicante venduto che deve scusarsi.
       Le scuse sono peggio di mille tradimenti.

                         Piero Visani