martedì 30 agosto 2016

Alle radici del romanzo gotico

       Credo che il mio interesse per il romanzo gotico nasca da due estati (1972-1973) di vacanze di studio trascorse al St. Mary College di Twickenham (Middlesex), nell'area della Greater London. Il college in questione si trova a fianco della celebre villa di Strawberry Hill di Horace Walpole e, all'epoca, a noi studenti era consentito frequentarla alquanto liberamente, per cui la ispezionai da cima a fondo, non in una logica artistica - come sarebbe stato forse tipico fare per altre persone - ma mosso dalla curiosità di studiare, attraverso l'analisi di luoghi e oggetti, la personalità di chi l'aveva costruita e abitata.



       All'epoca, la villa non si presentava tutta bianca e rigenerata com'è oggi, ma nel colore sopra raffigurato ed era assai bello poterne percorrere le stanze e i lunghi e un po' lugubri corridoi.
       Da giovane poco più che ventenne, appassionato soprattutto di storia militare, conoscevo più che altro Sir Robert Walpole, padre di Horace e ai vertici della politica britannica per un lungo periodo (dal 1722 al 1742). Di Horace (1717-1797) sapevo praticamente nulla, se non che era ritenuto l'iniziatore del genere letterario del romanzo "gotico" grazie al suo libro "Il Castello di Otranto" (1764). Tuttavia, gironzolando per Strawberry Hill, appresi che egli aveva affittato quella proprierà nel 1747 e ne era diventato proprietario due anni dopo, incominciando a trasformarla in un castello conosciuto e ammirato in tutta Europa, esempio anche architettonico del neogotico (o gothic revival).
       Quando, nel 1764, Horace Walpole scrisse e pubblicò The Castle of Otranto, lo fece passare per la traduzione dall'italiano di un manoscritto del 1529. Tuttavia, il grande successo ottenuto lo indusse a rinunciare a questo espediente ed a rivelarsi pubblicamente come autore del romanzo.
       Dalla lettura - invero non facile... - di questo libro ormai alquanto datato, si comprende come l'espressione "letteratura gotica" si riferisca ad un genere narrativo complesso, caratterizzato tanto da elementi romantici quanto orrifici, dove le vicende si sviluppano all'interno di ambienti cupi e tenebrosi, dove spesso atrabiliare è anche l'umore dei protagonisti.
       Come esploratore (più o meno) autorizzato della grande villa di Strawberry Hill, ho sempre nutrito un certo amore per questo libro di Walpole, non per l'opera in sé, ma perché nel ricordo degli interni di quella proprietà progressivamente trasformata in castello ritrovavo tutte le peculiarità della letteratura "gotica", vale a dire il gusto dell'emozione estrema, la ricerca adrenalinica delle tensioni suscitate dalla paura, l'impegno a reperire atmosfere sempre più dark, l'esasperazione della sensualità. Nel bel mezzo della Rivoluzione industriale, la letteratura gotica sottolineava l'importanza, a fronte del razionalismo illuminista, della pulsione ad esplorare altre dimensioni del reale, quelle più care a soggetti assolutamente romantici come il sottoscritto, soggetti per i quali ambiguità, misteri, passioni violente, pene d'amore, sono gli unici elementi che rendono la vita degna di essere vissuta.
      In questo senso, forse, la villa walpoliana di Strawberry Hill fu il mio personale Castello di Otranto, visto che - come in tutta la letteratura gotica degna di questo nome - la vita era un romanzo e non - come la vedo e vivo oggi - un brogliaccio da fiscalista o da ragioniere: una vita dove la curiosità intellettuale più vivace si mescolava alle passioni carnali più estreme, per soddisfare le quali bastava percorrere qualche decina di metri e rientrare al St. Mary College... Una vita dove si poteva ancora vivere e non solo - come oggi - pagare. Una vita da uomini liberi, pur in mezzo a molte difficoltà, ma non da schiavi. La mia età ormai avanzata mi consente di operare senza timore di smentita questo parallelismo e di essere perfettamente consapevole che non è la nostalgia a inquinarmi i ricordi. Ho una memoria da elefante e ricordo successi e insuccessi di allora, alla stessa stregua di quelli di oggi.

                               Piero Visani