D'estate, uno se ne accorge di più. A me divenne evidente proprio d'estate, intorno ai dodici anni. Da allora, la mia condizione ha subito vari mutamenti, economici e sociali, ma "normale" non lo sono divenuto più.
D'estate, uno si accorge maggiormente della propria diversità, specialmente se non ama il mare, la montagna, le vacanze, e tutte le varie armi di distrazione di massa che d'estate vengono usate a nostro carico con la massima intensità.
Nelle altre stagioni, il mascheramento è più facile; d'estate la propria eccentricità è più evidente. Non che la cosa mi crei turbamenti e/o problemi, ma quel che è strano è che pare crearli agli altri, che ti assalgono con le loro domande su vacanze, sul perché non le fai (nel caso tu faccia l'errore di dire che non le fai), su questo e quell'altro.
Ne deduco che la società italiana davvero non è cambiata, nelle sue componenti di fondo, perché si parla sempre delle stesse cose, le cose che sentivo quando avevo dieci anni e cercavo di fuggire in qualche angolo a leggermi un libro. Ora di libri ne ho letti molti, ma la volontà di fuga resta la medesima. In fondo - come sempre, più di sempre - il mio problema principale resta la mia laicità, da intendere nel senso che non partecipo a riti di massa. Sono agnostico, nel senso che non riconosco quei riti e, se ci ripenso, ho fatto gran parte delle mie vacanze essenzialmente per crescere mio figlio. Io, se e quando ho potuto, ho molto viaggiato, perché non mi interessava fare il bagnetto, ma conoscere il mondo e approfondire i temi che mi erano cari. Conoscere luoghi, abitudini, persone, culture. Alla fine, mi sono sempre ritrovato piuttosto isolato, ma mai realmente solo. Con il tempo, infatti, ho sviluppato una particolare sensibilità a riconoscere i soggetti più o meno simili a me e, con essi, sono spesso riuscito a sviluppare un dialogo fecondo e creativo.
Sarebbe stato bello se, nel mezzo di questo percorso, non fossi finito nella orribile società totalitaria odierna. Mi sarebbe bastato essere ignorato, come lo sono stato per mezzo secolo, per condurre una mia piccola esistenza marginale e residuale, quella cui posso ambire, quella che mi è stata data nel "migliore dei mondi possibile". Purtroppo, su di me - come su milioni di altri - si è rapidamente stretta la morsa del totalitarismo democratico, finanziario e fiscalista, e ho dovuto cominciare a preoccuparmi soprattutto di sopravvivere. Nel farlo, ho perso ogni gusto per la vita, ma sono rimasto molto sereno perché ho pensato che questa scuola di addestramento alla morte civile ed economica, fosse uno dei modi più indolori per accostarsi alla morte vera, quella fisica, che - alla mia età - non è più una prospettiva così lontana. Oggi sono molto tranquillo e sereno, com'è tipico delle persone che non hanno più nulla da perdere, se non le proprie catene. Anzi, guardo con estrema curiosità al futuro, perché penso che, se uno si libera dalle preoccupazioni contingenti, anche il futuro possa risultare interessante. Dopo tutto, la serena consapevolezza di essere morti, a tutto e a tutti, rende qualsiasi avventura nel futuro del tutto priva di rischi. E io, a ben guardare, ormai sono essenzialmente in cerca di avventure: non sentimentali - non intendo essere frainteso - ma esistenziali. Mettere in gioco tutto (che poi è niente...) per uscire da uno schifo ontologico che è quello tipico della società in cui vivo, che non ho mai odiato tanto come oggi.
Piero Visani