martedì 29 gennaio 2013

Across the Universe

      La musica può riflettere alla perfezione taluni stati d'animo; anzi, direi deve. Questa mattina, chiuso nel mio studio, in una condizione di beata solitudine, immerso nel più totale dei silenzi, mi sono venute in mente le parole di una canzone di John Lennon, Across the Universe

Words are flowing out like
Endless rain into a paper cup
They slither wildly as they slip away across the universe.
Pools of sorrow waves of joy
Are drifting through my opened mind
Possessing and caressing me.

          Anch'io sono a cavallo tra flussi emotivi diversi: non sono realmente triste, perché sono consapevole di essere vittima di circostanze e situazioni, più che artefice delle medesime. Non sono realmente allegro. Sono in quella condizione - disperata e disperante - che ti assale quando l'adrenalina ha cessato di fluire, quando le sensazioni e le percezioni si sono smorzate, quando le emozioni ti hanno pervaso nel profondo, e non sai più che cosa dire o fare, poiché tutto ti appare vano.
         Ho addosso a me un forte malessere di vivere, una malaise profonda. Provo the loneliness of a long distance runner, il sentimento di vuoto che pervade colui che ha corso la sua personale maratona, è arrivato in fondo e si accorge non solo di non avere vinto (quello lo aveva messo abbondantemente in conto) ma di arrivare a chiedersi perché ha partecipato.
        Talvolta mi domando se i miei non siano Stati di allucinazione, à la Ken Russell, ma non è così, lo so bene. Ho dentro di me un dolore profondo, e fatico a smaltirlo. Lo esorcizzo - questo sì - con il lavoro, ma mentirei a me stesso se negassi che il dolore c'è.
         La mia mente è naturalmente, direi consustanzialmente speculativa, e allora la lascio correre, fluire, sgorgare. Mi fa molto dispiacere pensare di poter essere considerato il peggiore degli uomini possibile e allora cerco rifugio in una dimensione onirica, in cui le parole e le percezioni di fatto mi sopraffanno, mi accarezzano e al tempo stesso mi possiedono.
       La mia sensibilità mi conduce lungo questi percorsi e sono lost highways che percorro da solo, itinerari simbolici in mezzo a moors dell'anima e a glens della mente.
       In definitiva, anche se ho fatto sempre cose molto diverse da queste, la constatazione che da qualche tempo mi anima è che devo fare i conti con la mia natura artistica, emotiva, percettiva, che ho sempre conculcato, per varie ragioni, e che ora, con il declinare della vita, viene fuori sempre più potentemente.
       Ormai sono sempre più prossimo alla decisione di scrivere qualcosa, probabilmente un romanzo, ma mi trattiene il timore che possa apparire un'opera autobiografica, che tale davvero non sarebbe né intenderebbe essere. Mi sento come una sorta di terminale di dolore, come se attraverso di me passasse tutto il dolore del mondo, ma so bene che la mia è invece una condizione puramente personale. Tuttavia, come spesso mi succede in casi del genere, sento forte lo stimolo della sfida, la volontà di scrivere qualcosa che non sarà letto, ma che io scriverò comunque. Un modo per rispondere, anche in questo campo, alle emarginazioni e agli anatemi, e vincere la sfida del tempo, lasciando la mia come l'unica versione possibile. Un bel successo, no?

                                          Piero Visani

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