La mia coscienza è adamantina: ho fatto tutto quello che ho dovuto (e avrei dovuto) fare. Nei modi e nei tempi che ho ritenuto giusti. Non mi spiego nemmeno un po' di quello che è successo, di come sia successo, della caduta verticale che mi ha visto protagonista. Tuttavia, poiché non mi era stata lasciata scelta, se non quella di accettare decisioni altrui, ho preso le mie. Uguali e speculari a quelle di cui ero oggetto. Mi appare difficile capire come questo mi abbia reso un mostro, perché - come minimo - i mostri dovrebbero essere due. Ma ormai ritengo che non ci sia più niente da capire, ammesso che ci sia mai stato. E' sgradevole essere protagonisti di trattamenti così spiacevoli, ma posso dire di essere sempre stato me stesso, dal primo all'ultimo giorno. E' corretto quindi che, nel momento in cui non andavo più bene, io sia stato congedato. Il modo non mi è parso dei migliori, ma sono valutazioni personali e apprezzo il fatto che, sia pure molto rudemente, si sia fatta chiarezza. Non più dialoghi faticosi, o saltuari, o unilaterali o disturbanti. Ora parlo solo con me stesso, come forse ero solito fare anche prima, probabilmente senza accorgermene.
Mi sostiene il pensiero che il mio cuore è puro, sempre e comunque. Non cambierà solo perché ha subito un "trattamento" particolare. La "cura" non mi ha fatto bene, ma non vedo perché dovrei mutare. Sono sempre stato sincero e coerente, io. Dunque guardo avanti con l'entusiasmo di sempre. Niente seduzioni da strapazzo, niente giochi di società con i sentimenti altrui, niente facili egoismi. Sono stato me stesso, sempre e comunque. E non cambierò certo perché ci si è presi gioco di me. Io sono una persona vera, e non ho paura di niente. Non ho perso un briciolo di fiducia in me stesso, di autostima, di volontà di andare avanti. Ho ricostituito da zero una società, ho rimesso insieme me stesso e sono rimasto costantemente in campo, sapendo bene che "i vecchi guerrieri non muoiono mai, al massimo scompaiono". E se fossi ricomparso...?
Piero Visani
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