Il pregio di lavorare molto, moltissimo, come sto facendo in queste settimane, è il continuo confronto con gli altri. Non è cosa semplicissima per me, che sono un po' condizionato dalle mie timidezze e dalle mie insofferenze. Tuttavia, vedo che me la cavo benissimo. Mutano gli ambienti e le persone, ma sia che io vesta il mio "abito da lavoro", sia che sia più compiutamente me stesso, con i miei partner, gli amici, i conoscenti, nessuno mi tratta male. Tutti mi rispettano, così come io rispetto loro.
Ho fatto esperienze, di recente, che non mi hanno giovato e che hanno finito per innescare in me, per quanto larvatamente, dei disagi, dei complessi di colpa. Ci ho riflettuto parecchio su, analizzando il problema da tutti i punti di vista possibili, ma mi sento ben inserito, a mio agio nel mondo del lavoro, amicale con vecchi e nuovi partner.
Si è tentato di farmi credere che io mi fossi reso responsabile di chissà quali colpe, ma sono giunto al convincimento di non averne alcuna. Ho vissuto determinate situazioni, le ho interpretate a mio modo (come fanno tutti, peraltro), ho cercato di tenerle in piedi, per quanto possibile e, quando le ho viste sfasciarsi, mi sono ingegnato a trovare delle soluzioni.
Non mi sento un criminale, anche se cercano di farmi passare per tale. Non mi sento meritevole di disprezzo, anche se ne sono fatto oggetto ad abundantiam. Rispetto le opinioni altrui, non si può piacere a tutti, ma ormai sono in piena pace con me stesso e non ritengo di potermi rimproverare niente. Non sono stato io a entrare in rotta di collisione.
Ora sto riprendendo rapidamente il gusto di vivere in mezzo a situazioni certo non facili, ma dove sono sempre padrone di me stesso. Dove devo certo rispondere ai miei soci, come è ovvio che sia, ma dove non devo interpretare il ruolo che essi mi hanno a forza attribuito, pretendendo per di più che mi piaccia e lo subisca.
Il 2013 si apre sotto ottime premesse. Sono una persona ferita, disillusa, disincantata, presa in giro e probabilmente derisa. Ma ho mantenuto ferma la barra del timone e so dove sto andando. Ormai sono certo che è proprio non avere perso la rotta, avere attraversato quasi indenne la "tempesta perfetta", è quanto non mi è stato perdonato. Si è pensato di me che fossi molto ingenuo, ed è vero. Si è pensato altresì che fossi molto debole, ed è stato un gravissimo errore, uno di quelli che, per l'appunto, non si perdonano (agli altri, non potendoli non perdonare a se stessi...).
Piero Visani
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