Mi sono soffermato pochi giorni fa sull'anima irlandese, sulla sua straordinaria capacità sincretica, sul suo gusto per la beffa, sul suo costante impegno ad esprimere una cultura dell'integrazione invece che una cultura dell'esclusione.
Per l'anima irlandese, che è anima celtica per eccellenza, non ci sono santi O malvagi, ma solo santi E malvagi. E ciascuno di noi è, al tempo stesso, entrambe le cose.
Tale capacità sincretica esclude i moralismi, le beatificazioni in terra, conferisce a tutti il proprio giusto livello di umanità, un'umanità in cui si può essere, nel corso di una giornata (o di una vita), al tempo stesso migliore o peggiore di quello che si è mediamente.
Ho ripensato a tutto questo guardando un piccolo ma straordinario film di John Michael McDonagh, The Guard, tradotto in italiano con il ridicolo e infelicissimo titolo di Un poliziotto da happy hour.
Un film del 2011, girato in una delle zone d'Irlanda che meglio conosco e più mi sono care, il fantastico Connemara, un'area dove ancora oggi molti abitanti parlano correntemente gaelico.
The Guard rappresenta il trionfo e al tempo stesso la sublimazione dell'anima irlandese: un poliziotto alquanto politicamente scorretto non si cura granché delle ipocrite prassi del mondo contemporaneo e si preoccupa anche (o forse soprattutto) di soddisfare i propri bisogni esistenziali, quali che siano), ma, proprio a causa di questa capacità di difendere la sua identità e la sua autonomia intellettuale, è più sveglio, più conoscitore del mondo dei tanti, troppi, che si lasciano condizionare ed eterodirigere dalle banalità.
Non insensibile ai piaceri mercenari della carne, e a qualche altro "vizietto" come il bere, il nostro sergente della Garda (la polizia della Repubblica d'Irlanda) vive le proprie vicende personali e professionali animato da un'etica non globalizzata. Non è un clone di alcuno. E' un uomo libero, profondamente libero. Non segue canoni o codici, se non il proprio codice etico, al quale peraltro, è straordinariamente fedele, a modo suo.
Il film è gradevolissimo, piento di spunti tematici e di battute fantastiche, e va goduto - se possibile - in lingua originale, poiché, come credo sappiate bene, il doppiaggio compie disastri testuali e soprattutto culturali gravissimi.
E' un'opera che a qualche osservatore molto superficiale potrebbe apparire alquanto immorale, mentre invece è profondamente etica, nel senso più vero del termine, e cerca altresì di farci comprendere come le morali, e in particolar modo le false morali che ci insidiano a tutti i livelli "abbiano chiuso i nostri cuori e spento i nostri ardori". Lo fa utilizzando toni beffardi, non didascalici, secondo la logica classica dell'anima celtica, la quale ci suggerisce sempre di pensare a quanti orrori ci siano nei moralismi e a quanti errori ci siano nelle repressioni. E come l'unica cosa che conti sia vivere secondo natura e secondo coscienza. Ce lo suggerisce percorrendo le strade impervie del paradosso, che sono le più difficili da percorrere, ma anche le più facili da recepire, perché contengono un'indicazione precisa: attenzione, sempre e comunque, a ogni forma di manicheismo: il presunto Bene è pieno di "cosiddetto Male", e viceversa.
Piero Visani
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