Da alcune persone che stimo e che ritengo amiche, in prevalenza donne, ricevo il "caloroso" invito a smetterla di trattare su queste pagine di una determinata vicenda, che evidentemente le ha stufate.
Hanno ragione, ci stavo pensando anch'io da qualche tempo. Loro mi invitano garbatamente a essere più riservato, ma io non ritengo affatto che sia questo il problema. Ho inteso raccontare la storia di un impegno personale, il mio, nei riguardi di una persona cui tenevo molto. Ho cercato di far capire quanto di me stesso ho profuso in questa vicenda, e perché. Ho voluto narrare lo strazio che coglie una persona quando tutto quello che fa (e quel tutto è davvero moltissimo per lui) si dimostra inutile, superfluo, pleonastico, come se nemmeno fosse mai accaduto.
Ho inteso raccontare la rabbia che ne deriva, non per i risultati conseguiti, pari a zero, ma per non essere riusciti a farsi comprendere, pur avendo cercato di farlo in tutti i modi ed avendo evidenziato, in tutte le modalità possibili, la propria mancanza di secondi fini, la propria disponibilità, il proprio mettersi al servizio dell'altro, tanto era l'apprezzamento che da me gli veniva riservato.
E' stata la storia di un dramma interiore, perché essere respinti capita tutti i giorni (e per me è addirittura una costante della mia vita), ma essere incompresi, fraintesi, equivocati e forse giocati non è cosa di tutti i giorni, quando uno ci ha speso più di diciotto mesi della propria vita, nel disperato tentativo di capire (probabilmente molto ben riuscito) e di farsi capire (fallito clamorosamente).
Avrei forse dovuto tenermi dentro tutto e scrivere un libro, come mi ha consigliato un mio carissimo amico, ma, non avendo tempo per scriverlo, ho cercato una soluzione diversa, senza escludere il fatto che quel libro forse un giorno lo scriverò.
Ora, effettivamente, è giusto chiudere, e raccolgo di buon grado l'invito delle mie cortesi lettrici. E' venuto il tempo che io tenga dentro di me quello che mi resta di questa vicenda strana e sgradevole. Non vi tedierò più.
Piero Visani
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