Questa frase - in realtà il titolo di una nota canzone di Gilbert O'Sullivan - scritta scherzosamente nella primavera del 2011, mi procurò l'accusa, invero per niente scherzosa, di essere "l'uomo più ciclotimico" mai conosciuto da una certa persona. In realtà, dotato come sono di lucida capacità di analisi, precorrevo solo i tempi...
Ora ho molto tempo per pensare, più di quanto non ne abbia mai avuto in passato. E penso, naturalmente. Sono più che mai alla ricerca di ragioni di vita e, come Joe Cocker nella colonna sonora di Nove settimane e mezzo, riparte la mia esortazione: "Gime me a reason to live".
Ho moltissimo da dire e sto cercando i modi per dirlo come meglio mi sia possibile. La mia vena creativa è al massimo, la mia sensibilità ultraesasperata, le mie percezioni in assoluta tensione.
Affogo - è vero - nelle banalità quotidiane, ma sto cercando di uscirne. Il mio disegno è chiaro: se faccio così schifo, se merito solo il più totale isolamento, coltiverò questa condizione per tirare fuori tutto il meglio possibile da me stesso. La mia autostima, infatti, non è scalfita. Non penso di aver commesso errori, o crimini o nefandezze. Penso di aver destato profonde incomprensioni, questo sì, ma cerco di dare nuovamente il meglio di me. Molte persone si aspettano da me risultati, speranze, incentivi. Ho degli obblighi nei loro confronti.
Al tempo stesso, ne ho anche - e molti - nei confronti miei. Sto pagando - lo so fin troppo bene - la mia diversità. Ho cercato rifugio tra coloro che pensavo diversi, ma non li ho trovati tali e ora, ovviamente, non mi resta che fare appello a me stesso. Mi riesce agevolmente, per fortuna: non ho mai scritto, letto, lavorato, studiato quanto oggi.
Sono totalmente insoddisfatto di me, ma faccio quello che percapisco come il mio dovere, sempre e comunque. Inoltre, il dialogo con me stesso si è fatto fittissimo. Alcune persone che mi onorano della loro amicizia mi scrivono e ci confrontiamo vicendevolmente. Mi sono di grande conforto e sono loro infinitamente grato per questo.
Tutto il resto cerco di farlo da me. Sto delineando i contorni di un libro, di un'opera che racconti un'esperienza matura, direi pre-senile, di incomunicabilità totale. La storia c'è già tutta, i personaggi anche, ma sto trattenendomi il più possibile onde evitare le trappole della scrittura terapeutica. Quello cui io ambirei, infatti, è altro. E' raccontare una storia di vita, di raccontare pensieri, ispirazioni, ambizioni, tentativi di avvicinamento, incomprensioni, convergenze e distacchi, il tutto nella logica di soggetti atomizzati e atomistici, che cercano di frantumare le barriere che li dividono, ma non riescono mai a farlo, perché non tentano mai seriamente di farlo. Soggetti impossibilitati a vivere per loro libera scelta, per quanto questo possa apparire del tutto assurdo.
Sullo sfondo, un pranzo, a giorni, con una persona che so che mi vuol bene, alla quale poter fare confidenze a ruota libera, svuotando il mio animo dai pesi che gravano su di esso. La ringrazio anticipatamente. Non sa quanto mi gioverà.
Piero Visani
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