mercoledì 23 gennaio 2013

Rain

       Piove massicciamente su Torino. Una pioggia gelata, spinta dal vento. Sono in giro per la città per contatti di lavoro, e gioisco. Adoro la pioggia da quando avevo 4 o 5 anni, e da allora la amo sempre più intensamente. Il primo motivo per cui la amo è che non piace ai più, e questo me la rende immediatamente simpatica. Quasi tutto quello che non piace ai più, a me piace. E la pioggia piace a non molte persone.
      La prima cosa che percepisco è come si pulisca l'aria, in genere molto inquinata, nel centro della mia città. E' assurdo definirla "la mia città". Neppure la amo. Mi è totalmente indifferente e i torinesi, per la verità, non mi stanno granché simpatici. Abito qui dal 1955, ma potrei essere vissuto ovunque. Ho trovato un rifugio nel silenzio, e questa è l'unica cosa che amo davvero.
        Inoltre la città è molto migliorata, dopo le Olimpiadi invernali del 2006 ed è divenuta oggetto di interesse turistico. In verità è bella, anche se al momento non appare certo economicamente in salute.
       Mi aggiro per le strade del centro, così tipicamente francesi. Penso a decine di cose, mentre l'acqua mi bagna. Sono abbastanza sereno. Triste ma sereno. Il peso di infinite cose grava su di me, ma vado avanti per la mia strada, contento di quel che ho fatto e faccio. Mi conforta la constatazione che, giorno dopo giorno, mi sento un po' meglio e capisco un po' più chiaramente che quello che ho fatto è stato difficile, doloroso, ma giusto. La stessa solitudine che mi circonda è, in fondo, la medesima di prima. Solo che prima era nutrita di illusioni, di miraggi, di speranze mal riposte. Ora non è più così, ora mi è più facile capire. Potrei dirmi che si è trattato di "una parentesi", ma mentirei a me stesso. Potrei dire che si è trattato di "un abbaglio", ma sarebbe ingiusto e irrispettoso nei riguardi di una persona. E' stata un'incomprensione profonda, questo sì, frutto di un fatto forse preoccupante: più ci si conosceva, più le distanze aumentavano, invece che ridursi. E questo non è mai un buon segno. Il salto di qualità, quello che avvicina realmente due persone, non c'è mai stato. Ad onta di tutti i miei sforzi, non c'è mai stato. Guardando le cose con crescente distacco, minore emotività e maggiore volontà di capire, credo che questo voglia dire qualcosa, anzi molto. Purtroppo, a un certo punto è venuto meno il dialogo, sostituito da due monologhi. Ne sono sempre più convinto, così come sono convinto che le rispettive uscite di scena avrebbero potuto essere molto migliori. Ma succede sempre così, quando si cessa di parlare, non ci si spiega più e ciascuno persegue un proprio disegno individuale. A quel punto, vince chi ha il coltello dalla parte del manico e chi vuole rompere è ovviamente più forte di chi vorrebbe mediare.
       Poiché rottura c'è stata, e totale, posso almeno pensare che almeno uno dei due protagonisti abbia ottenuto quel che desiderava. Non lo biasimo, se lo cercava davvero. Io sarei ricorso ad altre modalità, ma si è trattato di una soluzione e da tempo ne ho preso atto.

                                                          Piero Visani 

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