Le mie recenti esperienze di vita sono state di una tristezza infinita: opportunità, spesso molto belle e molto grandi, spente in nome del gusto del limite, del divieto, di quello che si può fare e di quello che non si può fare.
Ne ho preso atto. Sono sicuro che spesso si sia trattato di scuse, di paure, di timore della novità e del cambiamento, ma questo non muta i termini della questione. Sono stato fermato e ovviamente mi sono fermato.
Oggi, a posteriori, non posso che riconfermare in toto la mia voglia e il mio gusto di assoluto. Ho cercato di estrinsecarli, mi è stato detto che non andavano bene, che occorreva avere senso del limite. Ho fatto ricorso al mio senso del limite e mi è stato detto che dovevo ulteriormente "limitarlo". Ci ho provato. Poi, non appena ho compreso che erano solo comportamenti pretestuosi, ho lasciato perdere. Queste vite "a mezzo servizio" non fanno per me. E, se cercano di impormele persone assai più giovani di me, lo trovo ancora più inquietante.
Quello che conta, tuttavia, è che la mia voglia di assoluto è intatta, completamente non scalfita. Sì, ho preso botte, accuse varie, critiche di ogni genere. Ma è sempre qui, bella e pronta ad estrinsecarsi.
Se devo diventare la persona che altri vogliono che io sia, purtroppo non sarei più io. Capisco e mi rendo conto che, se fossi diverso, probabilmente sarei più "gradito", ma - come dovrebbe essere ormai chiaro - il problema della gradevolezza non me lo sono mai posto. Mi è capitato tante volte, in vita mia, di essere assaggiato, morso e poi buttato via. Evidentemente non sono piaciuto. De gustibus non est disputandum. Questo è chiaro. Da lì a costringermi a cambiare... ne corre.
Per il profondo rispetto che porto a me stesso, cerco di preservare, sempre e comunque, la mia identità e la mia personalità. Questo - me ne rendo conto - può dare molto fastidio, ma identità e personalità sono alcune delle poche peculiarità che ho. Come potrei rinunciarvi a cuor leggero? Perché dovrei compiere un tale sacrificio? Se una persona mi chiede di non essere me stesso, preferisco non essere "tout court". E me ne vado, o mi fanno andare. Fa parte del gioco, lo accetto, non mi illudo che sarò rimpianto. Sarò sostituito da uno dei mille "geni" che popolano le nostre giornate. Questo mi fa avere degli incredibili accessi di riso, perché - lo confesso - modesto, omologato, omologabile e "perbene" non lo diventerò mai.
Piero Visani
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