Nei rapporti umani, è sempre preferibile dare il meglio di sé. E' un principio cui mi attengo dall'adolescenza. Se poi non basta mai, o no basta quasi mai, uno comincia a interrogarsi, nell'ordine, su:
- se il meglio di sé faccia schifo (ipotesi più probabile);
- se il meglio di sé non susciti l'interesse di alcuno (ipotesi non meno probabile della precedente);
- se dare il meglio di sé non sia per caso un grave errore, in un mondo avaro, gretto ed autoreferenziale;
- se ci sia un grave fraintendimento sulla definizione de "il meglio di sé", che lo scrivente interpreta come "il meglio delle proprie qualità individuali", mentre i più interpretano come "il meglio che possiamo cavare - a nostro vantaggio - da te".
Alla fine, visto il negativo risultato dei miei sforzi di dare costantemente il "meglio di me", ho pensato di farmene una ragione, di non perdermi d'animo per così poco e di tenermi care - molto più care di quanto non facessi un tempo - quelle 25 persone che del mio tentativo di dare il "meglio di me" qualcosa paiono comunque apprezzarlo.
Non è una ridefinizione degli obiettivi - come qualcuno potrebbe erroneamente pensare - ma è una ridefinizione delle finalità: un tempo cercavo ingenuamente consensi anche là dove, in cuor mio, sapevo di non poterli trovare, forse per un malinteso spirito missionario, oppure - più verosimilmente - per pulsioni superomistiche. Ora ho del tutto rinunciato a spingermi in partibus infidelium. Sono sopravvissuto - è vero - a molti tentativi di massacro, ma non è il caso di tentare la sorte più di tanto. Sto con chi simpatizza con me. Agli altri non mancherò certo, anche perché, se avessero voluto darmi in qualche modo prova del loro apprezzamento, avrebbero avuto tutto il tempo per farlo. Senza dimenticare che su natura, misura ed entità di tale apprezzamento non sono solito accettare decisioni che non mi vedano coinvolto in forma paritetica. La mia figura preferita è "l''oltreuomo" nietzscheano, non il cicisbeo.
Piero Visani
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