Leggo sul numero di luglio di RID (Rivista Italiana Difesa) un articolo, ripreso anche dall'amico Paul Freiherr von Humboldt, nel quale si fa riferimento a una conferenza, tenutasi al CASD (Centro Alti Studi Difesa) ai primi di giugno, nel corso della quale - tra le altre cose - è emerso che le Forze Armate dovranno "cambiare radicalmente la propria narrativa, accettando di accentuare i temi militari rispetto alla retorica delle missioni di pace. Sarebbe altresì utile un investimento a medio-lungo termine, per avviare una vera e propria opera di rieducazione nazionale alla realtà della storia e della geografia, in pratica dando corso ad un ambizioso progetto pedagogico nazionale. E' auspicabile che queste idee trovino, almeno in parte, modo di farsi largo all'interno delle istituzioni e del Paese".
Leggo e sorrido amaramente. Sono stato per 19 anni, a partire dal 1988, consulente della Difesa per la comunicazione istituzionale e l'industria militare. Dopo qualche anno, in parallelo con la grande svolta del 1989, la mia posizione si è fatta sempre più fragile, in quanto continuavo a sostenere l'importanza della FUNZIONE militare in un contesto in cui molti uomini in uniforme, per puro servilismo politico, preferirono fare la scelta della FINZIONE militare.
Private del loro tradizionale nemico sovietico, le Forze Armate italiane, immerse in una crisi di identità che peraltro recava ancora al proprio interno il peso della gravissima delegittimazione istituzionale gettata su di loro dallo squagliamento dell'8 settembre 1943, cercarono di trovare una nuova identità come componenti della Protezione civile, crocerossine e figuranti di "photo opportunities" con bambini di tutti i Paesi in cui venivano inviate per "missioni di pace".
Visto che mi occupavo appunto - come consulente - della comunicazione della Difesa, cercai di oppormi con tutte le mie forze a tale deriva che - ricordo bene - ebbi a definire "il comportamento del prete ateo", vale a dire di quel sacerdote che NON crede più ai valori di cui dovrebbe essere portatore, che non li "celebra" e, di conseguenza, rinuncia alla sua fede, lasciandosi malamente coinvolgere in un processo di secolarizzazione che in realtà è di delegittimazione funzionale.
Le mie tesi vennero respinte con durezza: la verità - si sa - è sempre rivoluzionaria e dire agli uomini in uniforme che stavano legando l'asino dove voleva il padrone (cioè il potere politico) non era certo un'affermazione tale da farli simpatizzare per me.
Non me ne curai, continuai per la mia strada e arrivai perfino a predire - lo ricordo nitidamente, in occasione di una conferenza al CASD nei primissi anni del Duemila - che, se certi comportamenti disinvolti e molto poco militari adottati in Iraq avessero portato a un attentato, riuscito e con molte perdite, gli ufficiali ritenuti responsabili del medesimo sarebbero stati portati sotto processo per incuria professionale. Cosa puntualmente avvenuta, perché da noi l'identità delle funzione militare è "a geometria variabile", nel senso che deve cambiare in base agli orientamenti politici del momento.
La cosa si può comprendere nell'ambito delle perversioni del potere politico, ma è del tutto inaccettabile per chi - come i militari - deve difendere un'identità di funzione.
Continuai a difendere le mie tesi e, siccome un anno dopo l'altro mi veniva tolta una consulenza (anche con ministri di centrodestra..., a dimostrazione del ruolo metapolitico che ha avuto il Centrodestra in Italia...), aspettai che mi venisse tolta l'ultima e poi cambiai radicalmente attività professionale.
Leggo ora che gli "esperti" del settore vorrebbero che la Difesa "cambiasse radicalmente la propria narrativa, accentuando i temi militari rispetto alla retorica delle missioni di pace".
Mi viene da sorridere amaramente: l'ho detto e scritto per venti anni e la lista delle critiche che mi sono preso è lunga quanto un libro. Ma non era un viatico di carriera, allora, era solo un'opinione scomoda. Adesso, invece, è un gigantesco compito metapolitico, che richiede SOLO un'inversione di valori e di diffusione dei medesimi da parte di soggetti a me non noti come geni. Comunque auguri!
Il punto più bello, tuttavia, viene raggiunto nell'affermazione successiva, quella per cui "sarebbe altresì utile un investimento a medio-lungo termine, per avviare una vera e propria opera di rieducazione nazionale alla realtà della storia e della geografia, in pratica dando corso ad un ambizioso progetto pedagogico nazionale".
Idea bellissima, per "rieducare" la gioventù italiana all'amore per la Patria e cospargerla di contenuti posticci come quelli che emergono quando si vedono i calciatori bofonchiare le parole dell'inno di Mameli...!
Mi chiedo - e giro la domanda a chi di dovere - se l'amore per la Patria che ci verrà impartito dovrà comprendere, tradizionalmente, la difesa di "aris et focis". Ma quali, quelli pignorati da Equitalia?
Una volta di più resto solidissimamente convinto di una mia acquisizione concettuale di qualche anno fa, che condivido - a mio modo - con Samuel Johnson: "Il patriottismo è l'ultimo rifugio delle canaglie", nel senso che, quando non hanno più altro cui fare appello (perché si sono già portate via tutto, con il loro spirito di rapina), non resta che fare appello alla Patria, di modo che i cittadini, oltre ad aver dato a una classe politica orribile tutti i loro averi, possano magari anche dare la vita dei loro figli, così, per soprammercato...
Io sono vecchio e fuori gioco, ma posso garantirvi che mio figlio NON vi difenderà dalla collera dei poveri e dei diseredati, nazionali e del mondo intero, in particolare di quello arabo o africano. "Abbiamo già dato!", dicono a Genova e io qualche radice genovese l'ho. Difendetevi da soli e usate magari - per quell'opera di "rieducazione nazionale alle realtà della storia e della geografia" - quegli stessi "insegnanti" che avete usato per distruggerle scientemente, storia e geografia italiane...!
Auguri e un consiglio: attenti a scappare per tempo. Non sbagliate questa tempistica, potrebbe essere pericoloso, per voi.
Piero Visani
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