lunedì 19 ottobre 2015

Il (Gran) Paradiso non può attendere

        Domenica molto fredda (3 gradi a Valnontey), 5-6 a Cogne. Appena due giorni dopo un'abbondante nevicata che ha imbiancato il Prato di Sant'Orso. Conseguenza: nessuno in Paese, a parte qualche turista coraggioso e una comitiva di... giapponesi, provenienti in pullman da Ginevra.
       Cogne è deserta, ma uno splendido ristorante come "Lou Ressignon" è sempre pieno di appassionati dell'enogastronomia, che i proprietari - i fratelli Allera - sanno come coccolare e fare contenti.
       L'aria è gelida ma purissima, molto migliore di quella che si respira in estate, quando il turismo di massa sfiora anche questo delizioso centro montano, inquinandone l'atmosfera con il suo gusto per l'iterazione dell'ovvietà.
       Ogni volta che torno in Val d'Aosta, mi accorgo che essa è la mia "piccola Patria". Troppi ricordi mi legano ad essa: i nonni materni e tutti i parenti; le loro case di Aosta; le gite in tutti i più oscuri meandri della valle, a partire da quando avevo 3-4 anni; le feste di Natale e le vacanze estive; le gioiose scorribande con mia cugina Annamaria, purtroppo scomparsa prematuramente qualche anno fa; il patois, che mia nonna parlava spesso e al quale ricorreva quando - raramente - la facevo arrabbiare; l'enorme numero di film di guerra visti insieme a mio zio Walter, che in qualche misura ha contribuito alla mia formazione; il negozio di abbigliamento di mia zia Ines nel cuore di Aosta, dove credo di aver sviluppato al massimo la mia sensibilità per l'estetica e per tutto ciò che attiene al vestire; l'ammaestramento ideologico di mio zio, Emilio Chantel, ateo convinto e feroce mangiapreti, che mi insegnò l'importanza di pensare sempre e soltanto con la mia testa, fino alla sua prematura scomparsa; gli splendidi soldatini Britains che era solito regalarmi ad ogni compleanno, lui che era stato valoroso ufficiale degli Alpini e che credo vedesse in me qualche talento, stante l'attenzione con cui mi seguiva.
      Poi - da grande - le vacanze tra Pré Saint Didier e Courmayeur; la lunga opera di formazione di Umberto; le escursioni ai rifugi, le lunghissime pedalate in Val Ferret, le interminabili ore dedicate al tennis, le serate al ristorante, al cinema, in pizzeria.
      Infine, lo spostamento a Cogne, complice un certo disgusto per l'orientamento sgradevolmente "mondano" (in senso lato...) assunto da Courmayeur.
       Credo che, sebbene io la frequenti sempre meno, la Valle d'Aosta rimanga, per certi versi, la mia petite Patrie. Ne sento le radici, anche se personalmente farei forse a meno di averne, di radici. Ma la Vallée è lì, e mi guarda. Credo che si chieda chi sono, esattamente come io mi chiedo chi sia lei. Ma ci unisce il nostro bizzarro rifiuto di ogni obbligo, di ogni costrizione, di ogni "politicamente corretto" e banale. Siamo spesso molto ruvidi, la Valle e io, perché siamo entrambi dei montanari: lei per elezione, io per scelta, perché mi piace salire verso l'alto, non per raggiungere chissà quali vette, ma semplicemente per sfuggire alle banalità del fondovalle.
       In definitiva, la Valle d'Aosta è un pezzo importante della mia vita, del mio modo di essere, anche se - ma mi è successo in moltissimi altri casi - non ci siamo mai davvero del tutto intesi, lei e io. Ma è stato amore e - come in tutti i casi del genere - "è stato meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati". E poi, ci siamo davvero lasciati?

                                        Piero Visani