Nel centocinquantesimo anniversario di questo epico scontro, mi piace ricordarne le linee fondamentali.
Negli ultimi mesi del 1864, la situazione della Confederazione sudista era ormai quasi disperata, tanto all'Est (Virginia) quanto all'Ovest. Qui le forze nordiste al comando del generale William T. Sherman avevano condotto un attacco in profondità contro Atlanta (Georgia), caratterizzato da distruzioni e violenze a carico della popolazione civile, e avevano occupato quella città, costringendo i sudisti ad abbandonarla (ricordate il finale di Via col vento...?).
Per contrastare la furia offensiva di Sherman, il comandante sudista di quell'area (il generale John Bell Hood, un texano che recava direttamente sul suo corpo i segni della durezza del conflitto civile), dopo essere stato sconfitto da Sherman negli scontri diretti, decise di operare sulle retrovie nordiste, che si estendevano da Chattanooga (Tennessee) ad Atlanta ed erano particolarmente vulnerabili, a causa delle loro lunghezza.
Sherman, tuttavia, aveva ormai in mente un solo obiettivo, quello di tagliare in due la Confederazione arrivando con le sue forze fino al mare, per cui decise di proseguire la sua offensiva da Atlanta in direzione di Savannah (Georgia, uno dei maggiori porti della Confederazione), ben consapevole che un successo del genere sarebbe stato decisivo per le sorti del conflitto, e preferì affidare ai suoi subordinati il compito di affrontare Hood.
Il comandante confederato - assai provato nel fisico a causa di alcune gravi amputazioni che aveva dovuto subire in seguito a ferite riportate in combattimento - trascorse le prime tre settimane del novembre 1864 nel nord dell'Alabama, ricostruendo e rinforzando le sue truppe e preparandosi a lanciare un'offensiva verso Nord che, nei suoi piani (invero assai ottimistici), avrebbe dovuto tagliare le linee di rifornimento di Sherman e costringerlo a ritornare precipitosamente indietro, interrompendo la sua "marcia verso il mare".
In linea teorica, il piano di Hood non era infondato, ma egli era del tutto privo delle risorse umane e materiali che avrebbero potuto consentirgli di realizzarlo, dato che, pur compiendo ogni sforzo per mettere insieme una forza adeguata, non era riuscito a raccogliere più di 39.000 uomini, contro i quali i nordisti potevano schierare, in Tennessee, ben 60.000 soldati.
L'inizio dell'offensiva confederata verso Nord si dimostrò promettente: colti di sorpresa da una mossa che non si attendevano, i comandanti unionisti furono costretti a una rapida ritirata verso settentrione, onde evitare di essere battuti separatamente dai sudisti. Hood tentò pure di accerchiare le forze unioniste, ma fallì, perdendo una grande opportunità di schiacciarle.
I nordisti (l'Armata dell'Ohio al comando del generale John M. Schofield), dopo essere sfuggiti al tentativo di accerchiamento, si attestarono intorno alla città di Franklin (in Tennessee), dove iniziarono a costruire solidi apprestamenti difensivi, in previsione di un attacco confederato. Il timore di Schofield era soprattutto quello di essere aggirato dalle forze di Hood, poiché egli non pensava che i sudisti sarebbero stati così pazzi da attaccare frontalmente la solida linea difensiva, protetta da trincee, che egli aveva fatto rapidamente costruire.
Hood, arrivato con le sue truppe di fronte a Franklin intorno alle 13 del 30 novembre 1864, tenne un rapido consiglio di guerra, in cui espresse la sua intenzione di lanciare immediatamente un attacco frontale, in modo da impedire ai nordisti di consolidare le loro posizioni. L'idea parve assurda al comandante della cavalleria, generale Nathan Bedford Forrest, il quale propose invece una manovra di aggiramento, ma Hood fece valere il suo grado per imporre il suo piano.
E' probabile che egli volesse schiacciare Schofield con un attacco immediato, visto che le forze di quest'ultimo non avevano avuto molto tempo per trincerarsi e, per di più, sarebbero state costrette a combattere con il fiume Harpeth alle spalle. Il generale texano era probabilmente ossessionato dal fatto che gli unionisti erano riusciti a sottrarsi al suo tentativo di accerchiamento del giorno precedente ed era ansioso di cogliere un successo, dopo tante sconfitte.
L'attacco ebbe inizio intorno alle 16, con al massimo ancora un'ora di luce piena disponibile. Ben 19-20 mila uomini vennero lanciati all'offensiva, ma non si trattava di una forza sufficiente per attraversare circa 3 km di terreno scoperto con il solo sostegno di due batterie di artiglieria e poi piombare addosso a fortificazioni costruite di fretta e certo incomplete, ma comunque in grado di offrire un qualche riparo agli unionisti.
Avvalendosi del formidabile slancio che aveva sempre caratterizzato i loro attacchi, cercando di scuotere il nemico con migliaia di voci che lanciavano il terribile rebel yell (una specie di ululato che contraddistingueva da anni ogni assalto sudista), i confederati riuscirono ad aprirsi un varco al centro della linea unionista, disposta a semicerchio a protezione della cittadina, ma furono respinti da un contrattacco nordista condotto con la forza della disperazione. Intorno alla Casa Carter, posta al centro di tale linea, ne nacque una mischia di dimensioni epiche, combattuta alla baionetta, ma anche con i calci dei fucili, le pietre, i bastoni e perfino a calci, pugni e morsi, che si concluse solo quando i sudisti furono definitivamente respinti.
Noto come "la Carica di Pickett del teatro occidentale" del conflitto, l'attacco contro Franklin venne condotto da un numero nettamente superiore di uomini rispetto al celebre evento di Gettysburg (circa 20.000 contro non più di 12.000), ma ebbe lo stesso esito catastrofico e comportò la perdita - tra morti, feriti e dispersi - di circa 6.000 effettivi, compresi 14 generali (di cui 6 uccisi, tra cui il celebre Patrick Cleburne) e ben 55 comandanti di reggimento su un totale di 100 impegnati nell'assalto. Nel complesso, perdite assai più gravi di quelle subite dai confederati a Gettysburg.
La battaglia di Franklin evidenziò con tragica eloquenza un aspetto che sfuggiva ai comandanti confederati (eccezion fatta per Longstreet) fin dall'inizio del conflitto, vale a dire che le offensive di fanteria condotte da reparti schierati in ordine chiuso, in tipico stile napoleonico, non erano più possibili di fronte alla mortifera efficienza dei fucili e delle artiglierie rigate. E tale impossibilità diventava sempre più evidente man mano che il conflitto si protraeva, in quanto il grande potenziale industriale dell'Unione era in grado di produrre sistemi d'arma sempre più efficienti.
Nel caso specifico di Franklin, le forze confederate attaccanti dovettero fare i conti, armate solo di fucili ad anima liscia e ad avancarica, con truppe unioniste dotate (sia pure solo parzialmente) di fucili a ripetizione Spencer e Henry, in grado di produrre una cadenza di fuoco di 10 colpi al minuto, considerati giustamente i predecessori del celebre fucile a ripetizione Winchester.
In definitiva, il disperato attacco di Franklin fu militarmente una totale follia, che condannò a morte sicura uomini di straordinario valore, che avrebbero potuto - se risparmiati - essere ancora molto utili alla Confederazione e alle sue sorti.
Noi europei, tuttavia, non abbiamo nulla di cui sorprenderci, perché nessun generale delle potenze del Vecchio Continente parve trarre ammaestramento alcuno dalle grandi battaglie della Guerra Civile americana, dal momento che gli stessi assurdi attacchi frontali vennero condotti durante tutta la Grande Guerra, almeno fino al 1917, sia pure non più in ordine chiuso ma in formazione sparsa. E i risultati - ovviamente - furono i medesimi. Un solo, generalizzato e spaventoso, massacro.
Tuttavia, la battaglia di Franklin è assai meno nota, in Europa e anche negli USA, di quella di Gettysburg ed è forse opportuno conoscerla un po' di più. Per comprendere come l'intelligenza non sia un valore molto diffuso, tra gli uomini, e come il coraggio e la vita di molti vengano spesso sacrificati per coprire l'insipienza di altri.
Piero Visani