venerdì 10 luglio 2015

"'71" - Il film

       Si può fare un film autoreferenziale? Si può fare un film furbetto, che man mano che procede dipana con sapienza, ottimo uso della cinepresa e convincente ricostruzione d'ambiente, una preoccupante serie di luoghi comuni?
        Che un conflitto civile sia un insieme d'orrori, si spera che il regista francese Yann Demange non l'abbia scoperto nel 2014, anno in cui la pellicola venne presentata, ma un minimo di riflessione sul perché lo sia è forse chiedere troppo?
       La storia della recluta inglese Gary Hook, arruolatasi nell'esercito britannico e legata come unico affetto al fratello minore Darren, punta sulla valorizzazione del dramma umano tipico del singolo individuo che si trova all'interno di una vicenda inevitabilmente molto più grande di lui.
       L'inizio e la fine del film paiono voler sottolineare che, al di là degli affetti privatissimi, dei legami familiari, all'uomo non resta nulla e credo che- su questa linea - si possa essere d'accordo con l'autore. Non sono invece d'accordo sul fatto di precipitare il protagonista (l'eccellente Jack O' Connell) all'interno di una vicenda di cui nulla si spiega e di cui - temo - la maggior parte degli spettatori nulla sa.
       Gli Unionisti, i Provisionals e gli Officials dell'IRA, l'Esercito britannico, le forze speciali del SAS e gli agenti dell'MI5 sono tutti soggetti che si muovono all'interno di un contesto in cui, senza conoscere nulla delle questioni in campo, nulla si può capire e, in effetti, nulla si capisce, se non che si uccide per niente e che la verità, tutte le volte che tenta di emergere, finisce per essere deliberatamente e artatamente soffocata.
       Sono intenti apparentemente nobili, ma attribuire loro soverchia nobiltà mi pare del tutto fuorviante, perché qui è chiaro che il regista strizza più volte l'occhio al pubblico - e soprattutto alla critica... - per fare un film che piaccia, che riproduca per l'ennesima volta l'idea della negatività della conflittualità che è dominante in Europa da parecchi decenni.
       Nulla da obiettare, se non che, se della violenza si omettono deliberatamente le cause, allora il quadro di fondo (e la comprensione del medesimo) rischiano di risultare pesantemente falsati. I cattolici che protestano per le strade di Belfast, lo fanno perché sono "teste calde" e violenti? Vengono da una situazione politico-sociale che andrebbe accettata con rassegnazione, magari avviando ragionevoli (e soprattutto lente, molto lente...) politiche di integrazione tra le due comunità?L'esercito britannico è realmente imparziale? I servizi segreti e le forze speciali - tutti impegnati ad accrescere piuttosto che ad allentare la tensione - per chi lavorano, e perché?
       Se si fa astrazione da tutto questo, ne scaturisce un discreto thriller d'azione che, a differenza dei suoi omologhi, è più difficile da comprendere in quanto i personaggi e le posizioni sono meno chiari che in altri contesti.
       Un film del genere è sostanzialmente una grande occasione sprecata: la violenza fa male, la guerra civile pure e gli affetti privati sono migliori di qualsiasi dimensione pubblica. Lo sapevamo già. Ma allora un regista vero dovrebbe indurci a chiederci: per quale ragione eleggiamo governi? Per quale ragione, invece che spararci tra appartenenti a diverse fazioni, non dovremmo unire le forze contro il potere, che è l'unico, vero nemico? Se le nostre vite fanno schifo, quale e quanto ruolo hanno le organizzazioni statali nel causare tutto questo?
       Resta tuttavia l'ipotesi - e voglio riconoscerlo al regista - che si tratti di un film visionario e che ci inviti a riflettere sul fatto che, nella gigantesca guerra civile planetaria che sarà al centro del nostro futuro abbastanza prossimo, dovremo combattere soprattutto per noi stessi e per la sopravvivenza nostra e dei nostri cari, proprio come Gary Hook cerca di uscire vivo dall'inferno di Belfast per andare a recuperare l'unica persona cui tiene davvero, il fratellino Darren. Ce la fa e si allontana tra le verdi colline del Derbyshire. E noi, riusciremo anche noi a fuggire all'inferno delle dimensioni pubbliche, a quelle in cui si può reagire armi in pugno (come a Belfast nel 1971 e anche dopo...) e a quelle che occorre trangugiare più o meno in silenzio, come nell'Eurolager? Chi vivrà (sai che fortuna...!) vedrà.

                                      Piero Visani