Uno dei punti fondamentali di qualsiasi conflitto asimmetrico è il rifiuto della razionalità del nemico. Scrivo "nemico" con cognizione di causa, non amo molte le manfrine sul cosiddetto avversario.
Una guerra asimmetrica è uno scontro mortale. Il nemico parte con vantaggi enormi e accettarne la razionalità equivale a votarsi alla sconfitta. La prima scelta che dovrà essere effettuata sarà quindi quella di rifiutare la razionalità del nemico, non foss'altro che per il fatto che l'essenza della guerra asimmetrica è "la sconfitta del vincitore".
La razionalità del nemico mira a rappresentarci per quel che siamo realmente: degli avversari deboli e dispersi. Ergo l'atto fondamentale, quello da cui tutto deriva e può iniziare, consiste proprio nel rifiuto in blocco di quella razionalità.
A differenza di quanto si può comunemente pensare, un atteggiamento del genere non ha nulla a che vedere con una oggettiva valutazione dei rapporti di forza. Quelli ci sono chiarissimi e sono totalmente a nostro sfavore. Il rifiuto della razionalità consiste invece nel rifiuto del modo di ragionare che il nemico stesso ci vorrebbe imporre. Se lo accettassimo, saremmo soccombenti nel momento stesso in cui lo accettiamo. Se non lo accettiamo, non è che le nostre difficoltà siano minori, ma compiamo un passo decisivo nella scelta consapevole di una logica che sia intimamente nostra, e che non sia la sua. In altri termini, ciò equivale ad adottare i nostri, e solo i nostri, parametri di valutazione, perché - se accettiamo quelli del nemico - siamo soccombenti ancora prima di aprire le ostilità.
Non si sta qui parlando di guerra (o solo di essa), ma del fatto che, se l'essenza del politico è la contrapposizione amico/nemico, è fondamentale aver chiaro chi è amico e chi nemico, e creare una nostra logica, come pure una nostra grammatica del conflitto. Senza questi fondamentali presupposti, ci muoveremo male ed a tentoni, con obiettivi meramente tattici, ma privi di un decisivo disegno strategico.
Piero Visani