lunedì 11 luglio 2016

Da Pratile a Termidoro - Fine

Data la sproporzione a suo favore delle forze in campo, Hanriot avrebbe potuto facilmente trionfare prendendo in ostaggio l’intera Convenzione, invece preferì obbedire all’ordine ricevuto dal Comitato insurrezionale di radunare le sue truppe attorno all’Hôtel de Ville. Barras nelle sue memorie si attribuì il merito di aver disperso gli insorti che minacciavano la Convenzione semplicemente uscendo nel cortile delle Tuileries e gridando: “Ritiratevi miserabili: Hanriot è fuori legge!” Quest’annuncio avrebbe provocato l’immediato sbandamento degli artiglieri ribelli, costringendo il loro vigliacco comandante a battere in ritirata verso Place de Grève.
Intorno alle nove e mezza, quando Hanriot raggiunse l’Hôtel de Ville vi trovò il giovane Robespierre. I carcerieri della prigione della Force, che avrebbero dovuto prenderlo in custodia, l’avevano invece portato in trionfo alla sede del Consiglio Comunale.
Augustin pronunciò tra gli applausi un energico discorso in cui condannò l’odiosa macchinazione dei congiurati, senza tuttavia dichiarare illegale o decaduta l’intera Convenzione. Rendendosi conto dell’urgenza per vincere l’incertezza di molti patrioti di darsi un capo autorevole, il Consiglio Comunale approvò la proposta del Sindaco di formare una deputazione di sei membri con il compito di offrire formalmente a Robespierre la guida dell’insurrezione.
Raggiunto al quai des Orfèvres dalla deputazione comunale, Robespierre rifiutò l’offerta, dichiarando di voler comparire dinanzi ai giudici. Fu necessario l’invio di una seconda e più convincente deputazione per piegare gli scrupoli legalitari dell’”Iincorruttibile”, che finalmente, dopo le dieci, decise di recarsi all’Hôtel de Ville.
Nel frattempo anche Saint-Just e Le Bas, strappati ad altri carceri della città, raggiunsero Place de Grève. Appena liberato Le Bas aveva potuto riabbracciare per qualche istante sua moglie, Elisabeth Duplay, da cui qualche mese prima aveva avuto un figlio. Gli affetti familiari, che non gli avevano impedito in aula di autocondannarsi all’arresto, non lo trattennero neppure questa volta dal seguire Saint-Just.
L’arrivo di Maximilien Robespierre infuse un certo entusiasmo tra i membri del Consiglio Comunale e soprattutto tra la folla di insorti in armi che ingombrava Place de Grève. Con il passare delle ore però, in mancanza di ordini e di discorsi che infiammassero i cuori, tale entusiasmo andò affievolendosi. Quando si diffuse la notizia di un imminente intervento armato delle truppe fedeli alla Convenzione, gruppi di sanculotti via via più numerosi incominciarono senza troppo clamore ad allontanarsi dalla piazza. Intorno a mezzanotte un violento temporale estivo convinse molti di quelli che erano fino ad allora rimasti a tornarsene a casa.
Mentre le forze degli insorti si assottigliavano, i termidoriani costituirono due colonne di armati incaricate di marciare su Place de Grève: una, condotta personalmente da Barras, attraversò i quartieri più ricchi della città lungo la Senna, l’altra, al comando di Léonard Bourdon, un deputato montagnardo detestato da Robespierre per i suoi modi volgari ed il suo abbigliamento ridicolo, passò per rue Saint Honoré e rue Saint Martin.
Incapaci di arginare lo scoraggiamento e lo sbandamento delle loro forze, i membri del comitato insurrezionale si impegnarono in una estenuante discussione per vincere la ritrosia di Robespierre a porsi apertamente contro la Convenzione, che rimaneva a suo avviso la legittima depositaria della sovranità popolare. Intorno a mezzanotte anche Couthon raggiunse l’Hôtel de Ville dopo aver rifiutato per alcune ore di lasciare la sua prigione. Soltanto un biglietto firmato da Robespierre e Saint-Just era riuscito a convincerlo a schierarsi dalla parte degli insorti. Couthon propose di rivolgere un appello all’esercito. Robespierre tornò allora a sollevare una delicata questione di legittimità: “A nome di chi?” Un disperato appello alla sezione delle Picche, quella del suo quartiere, era già stato redatto e rimaneva per gli stessi dubbi di legittimità in attesa della sua firma.
“Comune di Parigi, Comitato esecutivo.
9 termidoro
Coraggio, patrioti della Section des Piques! La Libertà trionfa! Già coloro la cui fermezza è temuta dai traditori sono in libertà. Dovunque, il popolo si mostra degno del proprio carattere. L’appuntamento è all’Hôtel de Ville, dove il prode Hanriot eseguirà gli ordini del Comitato esecutivo che è stato formato per salvare il paese.

Louvet, Payan, Lerebous, Legrand, Ro-“
Intorno alle due del mattino la colonna di Bourdon giunse in Place de Grève, ormai quasi deserta. Di ciò che avvenne negli istanti successivi esistono differenti versioni.
Fingendosi dei sostenitori di Robespierre, Bourdon ed alcuni dei suoi uomini riuscirono a penetrare nell’Hôtel de Ville senza incontrare resistenza, salirono in fretta la grande scala centrale e fecero irruzione della sala Égalité.
Dopo molte esitazioni Robespierre si accingeva ad aggiungere la sua firma in calce all’appello alla sezione della Picche, aveva già tracciato due lettere del suo cognome, Ro, quando si spalancarono le porte della sala ed una pallottola lo colpì alla guancia sinistra, fracassandogli la mandibola. Sul foglio dell’appello giunto fino a noi sono ben visibili delle macchie forse di sangue attorno alla firma incompiuta.
A sparare da non più di quattro metri di distanza sarebbe stato un giovane gendarme con un cognome imbarazzante: Merda.
Al colpo di pistola sparato su Robespierre seguì l’irruzione degli uomini di Bourdon che non riuscirono immediatamente ad assumere il pieno controllo della sala. Saint-Just dopo un primo attimo di sbigottimento si chinò su Robespierre per tentare di soccorrerlo. Le Bas sfruttò la confusione per allontanarsi, raggiunse una sala vicina, detta della vedova Capeto, dove con una delle due pistole che aveva portato con sé si fece saltare le cervella.
La vista del volto del fratello coperto di sangue dovette sconvolgere Augustin, che aprì un finestra della sala, rimase qualche istante in bilico sul cornicione poi si gettò di sotto. Sopravvisse all’impatto con il selciato di Place de Grève, seppur gravemente ferito ad un’anca ed alla testa. Anche il paraplegico Couthon riportò una profonda ferita alla testa cadendo da una scala in un disperato tentativo di fuga. Hanriot lottando con gli assalitori riuscì ad abbandonare la sala Égalité ed a nascondersi all’interno dell’Hôtel de Ville. Fu ritrovato nella tarda mattinata del 10 termidoro gravemente ferito, un colpo di baionetta o di sciabola gli aveva strappato un occhio dall’orbita. Coffinhal riuscì invece a dileguarsi incolume dall’Hôtel de Ville, raggiunse l’isola dei Cigni, dove i battellieri della Senna gli offrirono rifugio per alcuni giorni. Il 5 agosto lasciò il suo nascondiglio e si presentò a casa della sua amante, che si rifiutò di ospitarlo. Cercò quindi asilo da un conoscente che gli doveva del denaro, ma questi lo tradì consegnandolo alla polizia.
Secondo Ernest Hamel, un autorevole storico della fine dell’ottocento di dichiarate simpatie giacobine, il colpo di pistola sparato contro Robespierre sarebbe stata un’esecuzione a sangue freddo. I termidoriani volevano la morte di Robespierre ad ogni costo, temevano che perfino sul patibolo la sua eloquenza avrebbe potuto delegittimarli e fomentare nuove sollevazioni popolari.
Ad armare la mano di Charles-André Merda sarebbe stato Léonard Bourdon, promettendogli onori e ricompense. A conferma di questa interpretazione, qualche ora dopo l’irruzione all’Hôtel de Ville, Bourdon presentò Merda alla Convenzione come un eroe, riconoscendogli il merito di aver fatto fuoco sui deputati ribelli. Gli scroscianti applausi della Convenzione furono il preludio della ricompensa. Merda fu promosso sottotenente ed assegnato ad un reparto di cavalleria dell’Armata del Nord. Né l’assegnazione in Olanda, né i modesti galloni ricevuti furono ritenuti soddisfacenti da Merda, che tempestò di lettere di protesta Tallien, Carnot, Barrère, Collot d’Herbois, finché, per intercessione di Barras, non ottenne un avanzamento al grado di capitano. Soltanto con l’avvento del Consolato la sua carriera riprese slancio. A sostenerlo nella scalata della gerarchia militare non fu la riconoscenza per l’audacia dimostrata nell’irruzione del 10 termidoro, ma la condotta coraggiosa tenuta sui campi di battaglia, da Marengo ad Austerlitz, da Jena a Wagram. Nel 1806 fu nominato colonnello, due anni più tardi Bonaparte gli concesse il titolo di Barone dell’Impero. Da quel momento ritenne opportuno mutare il suo cognome in Méda. Nel 1812 durante la campagna di Russia, prese parte alla battaglia della Moscova. Una palla di cannone gli tranciò una gamba. Sul letto di morte ottenne la tanto agognata promozione a generale.
Nel 1802 quando la sua carriera sembrava finalmente decollare, Merda scrisse, sperando di ricavarne un immediato vantaggio, una relazione sui fatti accaduti nella notte tra il 9 ed il 10 termidoro, che, in mancanza dell’autorizzazione del Ministero della Guerra, non fu pubblicata, se non dodici anni dopo la sua morte. Mescolando elementi verosimili ad altri palesemente fantasiosi, Merda rivendicò i suoi meriti, senza peraltro respingere l’accusa di aver sparato a sangue freddo su Robespierre.
Sarebbe stato il caso a porlo alla testa dei gendarmi e dei granatieri che fecero irruzione nell’Hôtel de Ville. Poiché i suoi superiori, probabilmente impegnati a smaltire una sbornia, erano irreperibili, il giovane Merda avrebbe ricevuto da Carnot in persona il comando della spedizione per arrestare Robespierre ed i suoi complici. Il caos seguito alla liberazione di Hanriot ed all’accerchiamento della Convenzione gli avrebbe impedito di eseguire prontamente gli ordini ricevuti. La nomina di Barras e di Bourdon alla guida delle truppe fedeli alla Convenzione avrebbe poi obbligato Merda a mettersi a loro disposizione. In virtù di chissà quale merito, Bourdon avrebbe confermato il giovane ed intraprendente gendarme al comando dell’attacco all’Hôtel de Ville. L’idea stessa di agire sfruttando l’effetto sorpresa, penetrando con l’inganno all’interno dell’Hôtel de Ville, sarebbe stata di Merda. Nella sala Égalité sarebbero state presenti una cinquantina di persone, in mezzo a loro il gendarme avrebbe immediatamente riconosciuto Robespierre seduto su di una poltrona, con la testa appoggiata sulla mano sinistra.

“Arrenditi traditore!” gli avrebbe intimato Merda. “Tu sei un traditore e ti farò fucilare!” avrebbe risposto l’”Incorruttibile”. Senza esitare, il gendarme avrebbe allora impugnato una delle due pistole che teneva infilate nella cintura ed avrebbe fatto fuoco. Intendeva colpirlo al petto, invece la pallottola raggiunse il mento fracassando la mandibola sinistra. Robespierre sarebbe caduto dalla poltrona. Vedendo suo fratello accasciarsi coperto di sangue, Augustin lo avrebbe creduto morto ed in preda alla disperazione si sarebbe gettato dalla finestra. Intanto il panico si sarebbe diffuso all’interno della sala all’irrompere degli altri gendarmi. I sostenitori di Robespierre si sarebbero dileguati in tutte le direzioni. Con la seconda pistola ancora carica in pugno, Merda si sarebbe lanciato al loro inseguimento nei corridoi del palazzo municipale. Privo di lanterna, nella semioscurità avrebbe sparato alla cieca, colpendo ad una gamba colui che portava sulle spalle il paraplegico Couthon, che sarebbe ruzzolato rovinosamente dalle scale. Il complice benché ferito sarebbe riuscito a dileguarsi, mentre Merda avrebbe trascinato Couthon per i piedi fino alla sala Égalité.
La versione di Merda per quanto lacunosa e poco credibile in molti passaggi, trova una conferma oggettiva nella relazione stilata dai due medici militari, Vergez e Marrigues, che visitarono Robespierre circa tre ore dopo l’irruzione nell’Hôtel de Ville. Lo “scellerato”, come si preoccuparono di definirlo i medici per dichiarare la loro incrollabile fedeltà alla Convenzione, aveva il volto gonfio, soprattutto sul lato sinistro dove aveva ricevuto la ferita. La pelle della guancia sinistra presentava bruciature ed una ecchimosi sotto l’occhio. La pallottola era penetrata, producendo un piccolo foro circa un pollice al di sotto delle labbra,  “da sinistra a destra, dall’alto in basso”. Ispezionando la bocca, i medici estrassero frammenti dell’osso mandibolare ed alcuni denti, canini e premolari.
La traiettoria del proiettile e la ferita prodotta appaiono del tutto compatibili con il racconto di Merda, che avrebbe sparato a Robespierre seduto in poltrona con il profilo sinistro rivolto verso di lui. Questo riscontro oggettivo alla versione di Merda non impedì tuttavia ai termidoriani di accreditare l’ipotesi del suicidio di Robespierre.
La Convenzione incaricò il deputato Courtois di stendere una relazione, pubblicata nel febbraio del 1795, sui fatti accaduti nella notte tra il 9 ed il 10 termidoro e sulle carte rinvenute a casa di Robespierre. L’approssimarsi delle truppe di Barras e di Bourdon avrebbe scatenato il panico all’interno della sala Égalité. Augustin sarebbe stato il primo ad optare per un gesto estremo. Suo fratello maggiore e Le Bas lo avrebbero imitato.
Accogliendo come attendibile la testimonianza di un usciere, Courtois affermò che il colpo sparato da Merda era andato in realtà a vuoto e che Robespierre aveva rivolto verso di sé una delle due pistole  di Le Bas.
Il fatto che per determinare la traiettoria del proiettile e la ferita accertate dai medici Robespierre avrebbe dovuto compiere un gesto del tutto innaturale, impugnare la pistola con la mano sinistra e direzionarla dall’alto verso il basso prima di premere il grilletto, non fu neppure preso in considerazione. I termidoriani avevano bisogno di una versione di comodo che li sollevasse dall’accusa di aver tentato di uccidere a sangue freddo Robespierre e dimostrasse al tempo stesso la vigliaccheria ed il senso di colpa del tiranno che avevano abbattuto. Courtois li accontentò.
Nelle circa diciassette ore che precedettero la sua esecuzione Robespierre soffrì atrocemente Fino alle tre e mezza rimase guardato a vista all’Hôtel de Ville. Nicolas Jomard, un architetto impiegato presso l’arsenale accorso insieme a molti altri curiosi nella sala consigliare, lo vide in stato di semincoscienza, “…senza scarpe, con le calze scivolate in basso, i pantaloni sbottonati e tutta la camicia imbrattata di sangue…”, attorniato  da gendarmi sghignazzanti che si prendevano gioco di lui. Uno di essi gli sollevò il braccio per guardarlo in faccia ed esclamare divertito: “Non è bello come un re?”. Un altro commentò sarcastico: “Anche se fosse il corpo di Cesare, perché non l’hanno buttato nella spazzatura?”
Dall’Hôtel de Ville Robespierre fu poi trasportato, per ordine di Barras, al Comitato di Salute Pubblica e deposto su di un tavolo della sala d’attesa con la testa appoggiata ad una cassetta di munizioni. Per più di un’ora rimase in uno stato di immobilità che lasciava credere che fosse morto, poi incominciò lentamente ad aprire gli occhi. Con un sacchetto di tela prese a tamponarsi il sangue che gli colava abbondante dalla mandibola fracassata. Finalmente, intorno alle cinque e mezza, giunsero i medici militari che lo visitarono, ripulirono la ferita e lo bendarono. Durante la medicazione il “mostro”, come Vergez e Marrigues lo definirono nella loro relazione, rimase vigile, ma non proferì parola, neppure quando, secondo la testimonianza di Barras, un cannoniere di guardia si impadronì, per farne un macabro trofeo del tiranno abbattuto, di un paio dei denti che i chirurghi gli avevano appena estratto dalla bocca.
A più riprese il ferito con gesti e gemiti chiese l’occorrente per scrivere, ma gli fu negato.
Intorno alle dieci del mattino, Robespierre e gli altri suoi complici furono trasferiti alla prigione della Conciergerie, attigua alla sede del Tribunale Rivoluzionario. Il processo fu rapidissimo, si ridusse ad un semplice accertamento dell’identità dei prigionieri. Prima dell’irruzione nella sala consigliare dell’Hôtel de Ville, la Convenzione aveva dichiarato fuori legge, e quindi immediatamente giustiziabili, i deputati ribelli ed i loro sostenitori.
Le carrette con a bordo i ventidue condannati lasciarono il palazzo di Giustizia intorno alle quattro e mezza del pomeriggio dirette a Place de la Révolution, l’odierna Place de la Concorde. Una folla festante seguì il corteo fino a destinazione gridano parole ingiuriose e di scherno. La voce del terrorista Carrier fu udita sovrastare le altre urlando: “A morte il tiranno!”
Quando il convoglio giunse in rue Saint Honoré, davanti alla casa in cui Robespierre aveva vissuto per quattro anni, alcune donne fecero arrestare le carrette e si misero a ballare tra gli applausi e le risate della folla, mentre un ragazzino imbrattava i muri della Maison Duplay intingendo una scopa in un secchio pieno di sangue di bue.
Intorno alle sei e mezza i condannati giunsero in Place de la Révolution.
Robespierre fu il penultimo a salire sul patibolo. Il boia Sanson gli strappò via il bendaggio, la mandibola si staccò e cadde ai piedi dell’”Incorruttibile” che emise un ruggito di dolore. Le sue sofferenze erano finalmente giunte al termine. Qualche istante più tardi la sua testa rotolava nel cesto.
Per ordine del governo termidoriano, i corpi dei ventidue condannati furono trasportati al cimitero degli Erracins e gettati in una fossa comune sotto uno spesso strato di calce viva. I resti dei tiranni dovevano svanire rapidamente, affinché non potessero diventare oggetto di venerazione.



ROBERTO POGGI
roberto_poggi@yahoo.it



Bibliografia

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