Data la sproporzione a suo favore
delle forze in campo, Hanriot avrebbe potuto facilmente trionfare prendendo in
ostaggio l’intera Convenzione, invece preferì obbedire all’ordine ricevuto dal
Comitato insurrezionale di radunare le sue truppe attorno all’Hôtel de Ville. Barras nelle sue
memorie si attribuì il merito di aver disperso gli insorti che minacciavano la
Convenzione semplicemente uscendo nel cortile delle Tuileries e gridando: “Ritiratevi
miserabili: Hanriot è fuori legge!” Quest’annuncio avrebbe provocato
l’immediato sbandamento degli artiglieri ribelli, costringendo il loro
vigliacco comandante a battere in ritirata verso Place de Grève.
Intorno alle nove e mezza, quando
Hanriot raggiunse l’Hôtel de
Ville vi trovò il giovane Robespierre. I carcerieri della prigione della Force,
che avrebbero dovuto prenderlo in custodia, l’avevano invece portato in trionfo
alla sede del Consiglio Comunale.
Augustin pronunciò tra gli applausi un
energico discorso in cui condannò l’odiosa macchinazione dei congiurati, senza
tuttavia dichiarare illegale o decaduta l’intera Convenzione. Rendendosi conto
dell’urgenza per vincere l’incertezza di molti patrioti di darsi un capo
autorevole, il Consiglio Comunale approvò la proposta del Sindaco di formare
una deputazione di sei membri con il compito di offrire formalmente a
Robespierre la guida dell’insurrezione.
Raggiunto al quai des Orfèvres dalla
deputazione comunale, Robespierre rifiutò l’offerta, dichiarando di voler
comparire dinanzi ai giudici. Fu necessario l’invio di una seconda e più
convincente deputazione per piegare gli scrupoli legalitari dell’”Iincorruttibile”,
che finalmente, dopo le dieci, decise di recarsi all’Hôtel de Ville.
Nel frattempo anche Saint-Just e Le
Bas, strappati ad altri carceri della città, raggiunsero Place de Grève. Appena
liberato Le Bas aveva potuto riabbracciare per qualche istante sua moglie,
Elisabeth Duplay, da cui qualche mese prima aveva avuto un figlio. Gli affetti
familiari, che non gli avevano impedito in aula di autocondannarsi all’arresto,
non lo trattennero neppure questa volta dal seguire Saint-Just.
L’arrivo di Maximilien Robespierre
infuse un certo entusiasmo tra i membri del Consiglio Comunale e soprattutto
tra la folla di insorti in armi che ingombrava Place de Grève. Con il passare
delle ore però, in mancanza di ordini e di discorsi che infiammassero i cuori,
tale entusiasmo andò affievolendosi. Quando si diffuse la notizia di un
imminente intervento armato delle truppe fedeli alla Convenzione, gruppi di
sanculotti via via più numerosi incominciarono senza troppo clamore ad
allontanarsi dalla piazza. Intorno a mezzanotte un violento temporale estivo
convinse molti di quelli che erano fino ad allora rimasti a tornarsene a casa.
Mentre le forze degli insorti si
assottigliavano, i termidoriani costituirono due colonne di armati incaricate
di marciare su Place de Grève: una, condotta personalmente da Barras,
attraversò i quartieri più ricchi della città lungo la Senna, l’altra, al comando
di Léonard Bourdon, un deputato montagnardo detestato da Robespierre per i suoi
modi volgari ed il suo abbigliamento ridicolo, passò per rue Saint Honoré e rue
Saint Martin.
Incapaci di arginare lo scoraggiamento
e lo sbandamento delle loro forze, i membri del comitato insurrezionale si
impegnarono in una estenuante discussione per vincere la ritrosia di
Robespierre a porsi apertamente contro la Convenzione, che rimaneva a suo
avviso la legittima depositaria della sovranità popolare. Intorno a mezzanotte
anche Couthon raggiunse l’Hôtel
de Ville dopo aver rifiutato per alcune ore di lasciare la sua prigione.
Soltanto un biglietto firmato da Robespierre e Saint-Just era riuscito a
convincerlo a schierarsi dalla parte degli insorti. Couthon propose di rivolgere
un appello all’esercito. Robespierre tornò allora a sollevare una delicata
questione di legittimità: “A nome di chi?” Un disperato appello alla sezione
delle Picche, quella del suo quartiere, era già stato redatto e rimaneva per
gli stessi dubbi di legittimità in attesa della sua firma.
“Comune
di Parigi, Comitato esecutivo.
9
termidoro
Coraggio,
patrioti della Section des Piques! La Libertà trionfa! Già coloro la cui
fermezza è temuta dai traditori sono in libertà. Dovunque, il popolo si mostra
degno del proprio carattere. L’appuntamento è all’Hôtel de Ville, dove il prode Hanriot eseguirà gli ordini del
Comitato esecutivo che è stato formato per salvare il paese.
Louvet, Payan, Lerebous, Legrand, Ro-“
Intorno alle due del mattino la colonna
di Bourdon giunse in Place de Grève, ormai quasi deserta. Di ciò che avvenne
negli istanti successivi esistono differenti versioni.
Fingendosi dei sostenitori di
Robespierre, Bourdon ed alcuni dei suoi uomini riuscirono a penetrare nell’Hôtel de Ville senza incontrare resistenza,
salirono in fretta la grande scala centrale e fecero irruzione della sala Égalité.
Dopo molte esitazioni Robespierre si
accingeva ad aggiungere la sua firma in calce all’appello alla sezione della
Picche, aveva già tracciato due lettere del suo cognome, Ro, quando si
spalancarono le porte della sala ed una pallottola lo colpì alla guancia sinistra,
fracassandogli la mandibola. Sul foglio dell’appello giunto fino a noi sono ben
visibili delle macchie forse di sangue attorno alla firma incompiuta.
A sparare da non più di quattro metri
di distanza sarebbe stato un giovane gendarme con un cognome imbarazzante: Merda.
Al colpo di pistola sparato su
Robespierre seguì l’irruzione degli uomini di Bourdon che non riuscirono
immediatamente ad assumere il pieno controllo della sala. Saint-Just dopo un
primo attimo di sbigottimento si chinò su Robespierre per tentare di
soccorrerlo. Le Bas sfruttò la confusione per allontanarsi, raggiunse una sala
vicina, detta della vedova Capeto, dove con una delle due pistole che aveva
portato con sé si fece saltare le cervella.
La vista del volto del fratello
coperto di sangue dovette sconvolgere Augustin, che aprì un finestra della
sala, rimase qualche istante in bilico sul cornicione poi si gettò di sotto. Sopravvisse
all’impatto con il selciato di Place de Grève, seppur gravemente ferito ad
un’anca ed alla testa. Anche il paraplegico Couthon riportò una profonda ferita
alla testa cadendo da una scala in un disperato tentativo di fuga. Hanriot
lottando con gli assalitori riuscì ad abbandonare la sala Égalité ed a nascondersi all’interno
dell’Hôtel de Ville. Fu
ritrovato nella tarda mattinata del 10 termidoro gravemente ferito, un colpo di
baionetta o di sciabola gli aveva strappato un occhio dall’orbita. Coffinhal
riuscì invece a dileguarsi incolume dall’Hôtel de Ville, raggiunse l’isola dei Cigni, dove i battellieri
della Senna gli offrirono rifugio per alcuni giorni. Il 5 agosto lasciò il suo
nascondiglio e si presentò a casa della sua amante, che si rifiutò di
ospitarlo. Cercò quindi asilo da un conoscente che gli doveva del denaro, ma
questi lo tradì consegnandolo alla polizia.
Secondo Ernest Hamel, un autorevole
storico della fine dell’ottocento di dichiarate simpatie giacobine, il colpo di
pistola sparato contro Robespierre sarebbe stata un’esecuzione a sangue freddo.
I termidoriani volevano la morte di Robespierre ad ogni costo, temevano che
perfino sul patibolo la sua eloquenza avrebbe potuto delegittimarli e fomentare
nuove sollevazioni popolari.
Ad armare la mano di Charles-André Merda
sarebbe stato Léonard Bourdon, promettendogli onori e ricompense. A conferma di
questa interpretazione, qualche ora dopo l’irruzione all’Hôtel de Ville, Bourdon presentò Merda
alla Convenzione come un eroe, riconoscendogli il merito di aver fatto fuoco
sui deputati ribelli. Gli scroscianti applausi della Convenzione furono il
preludio della ricompensa. Merda fu promosso sottotenente ed assegnato ad un
reparto di cavalleria dell’Armata del Nord. Né l’assegnazione in Olanda, né i
modesti galloni ricevuti furono ritenuti soddisfacenti da Merda, che tempestò
di lettere di protesta Tallien, Carnot, Barrère, Collot d’Herbois, finché, per
intercessione di Barras, non ottenne un avanzamento al grado di capitano.
Soltanto con l’avvento del Consolato la sua carriera riprese slancio. A
sostenerlo nella scalata della gerarchia militare non fu la riconoscenza per
l’audacia dimostrata nell’irruzione del 10 termidoro, ma la condotta coraggiosa
tenuta sui campi di battaglia, da Marengo ad Austerlitz, da Jena a Wagram. Nel
1806 fu nominato colonnello, due anni più tardi Bonaparte gli concesse il
titolo di Barone dell’Impero. Da quel momento ritenne opportuno mutare il suo
cognome in Méda. Nel 1812 durante la campagna di Russia, prese parte alla
battaglia della Moscova. Una palla di cannone gli tranciò una gamba. Sul letto
di morte ottenne la tanto agognata promozione a generale.
Nel 1802 quando la sua carriera
sembrava finalmente decollare, Merda scrisse, sperando di ricavarne un
immediato vantaggio, una relazione sui fatti accaduti nella notte tra il 9 ed
il 10 termidoro, che, in mancanza dell’autorizzazione del Ministero della
Guerra, non fu pubblicata, se non dodici anni dopo la sua morte. Mescolando
elementi verosimili ad altri palesemente fantasiosi, Merda rivendicò i suoi
meriti, senza peraltro respingere l’accusa di aver sparato a sangue freddo su
Robespierre.
Sarebbe stato il caso a porlo alla
testa dei gendarmi e dei granatieri che fecero irruzione nell’Hôtel de Ville. Poiché i suoi
superiori, probabilmente impegnati a smaltire una sbornia, erano irreperibili,
il giovane Merda avrebbe ricevuto da Carnot in persona il comando della
spedizione per arrestare Robespierre ed i suoi complici. Il caos seguito alla liberazione
di Hanriot ed all’accerchiamento della Convenzione gli avrebbe impedito di
eseguire prontamente gli ordini ricevuti. La nomina di Barras e di Bourdon alla
guida delle truppe fedeli alla Convenzione avrebbe poi obbligato Merda a
mettersi a loro disposizione. In virtù di chissà quale merito, Bourdon avrebbe
confermato il giovane ed intraprendente gendarme al comando dell’attacco all’Hôtel de Ville. L’idea stessa di agire
sfruttando l’effetto sorpresa, penetrando con l’inganno all’interno dell’Hôtel de Ville, sarebbe stata di
Merda. Nella sala Égalité sarebbero
state presenti una cinquantina di persone, in mezzo a loro il gendarme avrebbe
immediatamente riconosciuto Robespierre seduto su di una poltrona, con la testa
appoggiata sulla mano sinistra.
“Arrenditi traditore!” gli avrebbe
intimato Merda. “Tu sei un traditore e ti farò fucilare!” avrebbe risposto l’”Incorruttibile”.
Senza esitare, il gendarme avrebbe allora impugnato una delle due pistole che
teneva infilate nella cintura ed avrebbe fatto fuoco. Intendeva colpirlo al
petto, invece la pallottola raggiunse il mento fracassando la mandibola
sinistra. Robespierre sarebbe caduto dalla poltrona. Vedendo suo fratello
accasciarsi coperto di sangue, Augustin lo avrebbe creduto morto ed in preda
alla disperazione si sarebbe gettato dalla finestra. Intanto il panico si
sarebbe diffuso all’interno della sala all’irrompere degli altri gendarmi. I
sostenitori di Robespierre si sarebbero dileguati in tutte le direzioni. Con la
seconda pistola ancora carica in pugno, Merda si sarebbe lanciato al loro
inseguimento nei corridoi del palazzo municipale. Privo di lanterna, nella
semioscurità avrebbe sparato alla cieca, colpendo ad una gamba colui che
portava sulle spalle il paraplegico Couthon, che sarebbe ruzzolato
rovinosamente dalle scale. Il complice benché ferito sarebbe riuscito a
dileguarsi, mentre Merda avrebbe trascinato Couthon per i piedi fino alla sala Égalité.
La versione di Merda per quanto
lacunosa e poco credibile in molti passaggi, trova una conferma oggettiva nella
relazione stilata dai due medici militari, Vergez e Marrigues, che visitarono
Robespierre circa tre ore dopo l’irruzione nell’Hôtel de Ville. Lo “scellerato”, come si preoccuparono di
definirlo i medici per dichiarare la loro incrollabile fedeltà alla
Convenzione, aveva il volto gonfio, soprattutto sul lato sinistro dove aveva
ricevuto la ferita. La pelle della guancia sinistra presentava bruciature ed una
ecchimosi sotto l’occhio. La pallottola era penetrata, producendo un piccolo
foro circa un pollice al di sotto delle labbra,
“da sinistra a destra, dall’alto in basso”. Ispezionando la bocca, i
medici estrassero frammenti dell’osso mandibolare ed alcuni denti, canini e
premolari.
La traiettoria del proiettile e la
ferita prodotta appaiono del tutto compatibili con il racconto di Merda, che
avrebbe sparato a Robespierre seduto in poltrona con il profilo sinistro
rivolto verso di lui. Questo riscontro oggettivo alla versione di Merda non
impedì tuttavia ai termidoriani di accreditare l’ipotesi del suicidio di
Robespierre.
La Convenzione incaricò il deputato
Courtois di stendere una relazione, pubblicata nel febbraio del 1795, sui fatti
accaduti nella notte tra il 9 ed il 10 termidoro e sulle carte rinvenute a casa
di Robespierre. L’approssimarsi delle truppe di Barras e di Bourdon avrebbe
scatenato il panico all’interno della sala Égalité. Augustin sarebbe stato il primo ad optare per un gesto
estremo. Suo fratello maggiore e Le Bas lo avrebbero imitato.
Accogliendo come attendibile la
testimonianza di un usciere, Courtois affermò che il colpo sparato da Merda era
andato in realtà a vuoto e che Robespierre aveva rivolto verso di sé una delle
due pistole di Le Bas.
Il fatto che per determinare la
traiettoria del proiettile e la ferita accertate dai medici Robespierre avrebbe
dovuto compiere un gesto del tutto innaturale, impugnare la pistola con la mano
sinistra e direzionarla dall’alto verso il basso prima di premere il grilletto,
non fu neppure preso in considerazione. I termidoriani avevano bisogno di una
versione di comodo che li sollevasse dall’accusa di aver tentato di uccidere a
sangue freddo Robespierre e dimostrasse al tempo stesso la vigliaccheria ed il
senso di colpa del tiranno che avevano abbattuto. Courtois li accontentò.
Nelle circa diciassette ore che
precedettero la sua esecuzione Robespierre soffrì atrocemente Fino alle tre e
mezza rimase guardato a vista all’Hôtel
de Ville. Nicolas Jomard, un architetto impiegato presso l’arsenale accorso insieme
a molti altri curiosi nella sala consigliare, lo vide in stato di semincoscienza,
“…senza scarpe, con le calze scivolate in basso, i pantaloni sbottonati e tutta
la camicia imbrattata di sangue…”, attorniato
da gendarmi sghignazzanti che si prendevano gioco di lui. Uno di essi
gli sollevò il braccio per guardarlo in faccia ed esclamare divertito: “Non è
bello come un re?”. Un altro commentò sarcastico: “Anche se fosse il corpo di
Cesare, perché non l’hanno buttato nella spazzatura?”
Dall’Hôtel de Ville Robespierre fu poi trasportato, per ordine di
Barras, al Comitato di Salute Pubblica e deposto su di un tavolo della sala
d’attesa con la testa appoggiata ad una cassetta di munizioni. Per più di
un’ora rimase in uno stato di immobilità che lasciava credere che fosse morto,
poi incominciò lentamente ad aprire gli occhi. Con un sacchetto di tela prese a
tamponarsi il sangue che gli colava abbondante dalla mandibola fracassata.
Finalmente, intorno alle cinque e mezza, giunsero i medici militari che lo visitarono,
ripulirono la ferita e lo bendarono. Durante la medicazione il “mostro”, come
Vergez e Marrigues lo definirono nella loro relazione, rimase vigile, ma non
proferì parola, neppure quando, secondo la testimonianza di Barras, un
cannoniere di guardia si impadronì, per farne un macabro trofeo del tiranno
abbattuto, di un paio dei denti che i chirurghi gli avevano appena estratto
dalla bocca.
A più riprese il ferito con gesti e
gemiti chiese l’occorrente per scrivere, ma gli fu negato.
Intorno alle dieci del mattino, Robespierre
e gli altri suoi complici furono trasferiti alla prigione della Conciergerie,
attigua alla sede del Tribunale Rivoluzionario. Il processo fu rapidissimo, si
ridusse ad un semplice accertamento dell’identità dei prigionieri. Prima
dell’irruzione nella sala consigliare dell’Hôtel de Ville, la Convenzione aveva dichiarato fuori legge, e
quindi immediatamente giustiziabili, i deputati ribelli ed i loro sostenitori.
Le carrette con a bordo i ventidue
condannati lasciarono il palazzo di Giustizia intorno alle quattro e mezza del
pomeriggio dirette a Place de la Révolution, l’odierna Place de la Concorde.
Una folla festante seguì il corteo fino a destinazione gridano parole
ingiuriose e di scherno. La voce del terrorista Carrier fu udita sovrastare le
altre urlando: “A morte il tiranno!”
Quando il convoglio giunse in rue
Saint Honoré, davanti alla casa in cui Robespierre aveva vissuto per quattro
anni, alcune donne fecero arrestare le carrette e si misero a ballare tra gli
applausi e le risate della folla, mentre un ragazzino imbrattava i muri della
Maison Duplay intingendo una scopa in un secchio pieno di sangue di bue.
Intorno alle sei e mezza i condannati
giunsero in Place de la Révolution.
Robespierre fu il penultimo a salire
sul patibolo. Il boia Sanson gli strappò via il bendaggio, la mandibola si
staccò e cadde ai piedi dell’”Incorruttibile” che emise un ruggito di dolore. Le
sue sofferenze erano finalmente giunte al termine. Qualche istante più tardi la
sua testa rotolava nel cesto.
Per ordine del governo termidoriano, i
corpi dei ventidue condannati furono trasportati al cimitero degli Erracins e
gettati in una fossa comune sotto uno spesso strato di calce viva. I resti dei
tiranni dovevano svanire rapidamente, affinché non potessero diventare oggetto
di venerazione.
ROBERTO POGGI
roberto_poggi@yahoo.it
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Assemblées Nationales depuis 1789 jusqu’en 1815, Tome Trente-Troisième,
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