Non ho avuto il piacere, nei miei diciannove anni di collaborazione con l'istituzione militare, di conoscere personalmente il generale Marco Bertolini. Sono certo di poterne immaginare il motivo: sicuramente trovava ridicolo che dei militari si occupassero di comunicazione istituzionale, per di più facendosela spiegare da un civile (e neppure con i capelli tagliati alla parà...), e avrà di certo impiegato il suo tempo nell'assolvimento di compiti a lui più congeniali, cioè operativi.
Sono certo però che, se ci fossimo conosciuti personalmente in un ambiente così curiale come quello militare, dove tutti misurano le parole per compiacere ai politici e fare un po' di carriera in più, ci saremmo immediatamente piaciuti: amore per la chiarezza, eloquenza diretta, nessuna idea che i militari possano fare le crocerossine, i "soldati di pace" (bell'ossimoro!) o quant'altro, e nemmeno alcuna infondata convinzione che l'epoca delle guerre sia finita (è appena cominciata, ragazzi, e chi vi dice il contrario vi mente sapendo di mentire...!).
Medaglia d'oro al valor militare (dunque un soggetto che alla teoria fa seguire la pratica), Bertolini è uno di quei militari per nulla amati dai colleghi (quanto meno da quelli italiani, perché all'estero è molto diverso), il quale - horribile dictu! - pensa che l'unico compito di chi esercita la nobile professione delle armi sia quello di fare la guerra, di farla bene, di farla in fretta, ammazzando il maggior numero possibile di nemici, e - naturalmente - anche di vincerla (e qui, nelle Forze Armate italiane, avrà certamente trovato non pochi detrattori...).
Il suo discorso d'addio - singolarmente riportato dal quotidiano torinese "La Stampa" di oggi - vale più di un programma: "La storia si è rimessa in movimento" - ha detto - e le guerre sono sempre più possibili. Per capire meglio il tutto, "osserviamo la vera realtà, non quella delle fiction di prima serata o di alcuni superficialissimi talk-show". Musica per le mie orecchie, cui si aggiunge la più bella di tutte le verità nascoste: "In Italia ci ostiniamo a voler credere di vivere nel migliore dei mondi possibili. Non è così. Superato il dubbio che questa cloaca politico-criminale che è il "Bel Paese" possa essere il migliore dei mondi possibili, è evidente che il riferimento di Bertolini va alla valutazione italica delle cose del mondo, dove l'idea di fondo è sempre quella - tipicamente andreottiana - per cui "alla fine tutto si aggiusta" (se sei Falcone o Borsellino, e ambisci a fare la loro fine, certamente sì...!).
Nel caso di specie, nulla si aggiusterà e Bertolini avrebbe potuto concludere la sua carriera a livelli ancora più elevati di quelli raggiunti. Se non lo ha fatto, è perché ha sempre parlato chiaro e - come tale - è andato incontro a vari siluramenti politici e "paraculate" di colleghi. Al tempo stesso, è sempre stato rispolverato ogni volta che le fronde cominciavano a stormire, perché tra i colleghi, grandi navigatori di corridoi, la navigazione in combattimento appare decisamente più scomoda, pericolosa e possibilmente da evitare. Con quelle premesse, anche un Marco Bertolini poteva tornare utile: "se gli piace tanto, meglio che crepi lui...".
Mi è gradito dedicargli questo piccolo profilo, omaggio riverente a chi non è mai stato - né ha voluto essere - "soldato di pace" (che è come dire "prete di ateismo...!") e che, uscendo di scena, ci lancia l'unico messaggio che non vorremmo ascoltare e che certamente non ascolteremo, ma che è suo dovere lanciare: "Preparatevi alla guerra!". Arriverà, e arriverà molto presto.
Piero Visani