Mi piace Marco Tullio Giordana e il suo modo di fare cinema, fin dai tempi de La caduta degli angeli ribelli, e naturalmente mi è piaciuto molto anche La meglio gioventù.
Ieri sera ho visto in televisione Romanzo di una strage e devo dire che mi è piaciuto anch'esso. Il tema - la bomba di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 - si prestava ad equivoci e a interpretazioni varie. Giordana ne ha sposata una e l'ha perseguita coerentemente, senza nulla togliere alla storia, per altro ancora molto controversa.
Ho vissuto quegli anni in prima persona e ricordo bene quella sera di dicembre. Credo che fossi ospite a cena a casa di mia sorella, sposata da poco, e ricordo lo straniamento con cui ascoltammo la notizia. Mi occupavo già anche troppo di politica, avevo fatto le mie scelte, ma ero purtroppo politicamente molto ingenuo, con i miei 19 anni, per capire chi manovrasse chi, in quegli anni tanto difficili.
Ricordo che, forse per quel "male di vivere" che mi porto dentro fin dalla pubertà (e forse anche da prima), la notizia non mi sorprese più di tanto e - come sono solito fare in circostanze del genere - mi attenni a una linea di assoluta imperturbabilità.
Rivedere tutti quegli eventi a distanza di anni mi ha fatto capire, oltre a quanto sono vecchio, quanto sia stato un privilegio, in un certo modo, vivere in prima persona quegli anni. Avendo fatto scelte politiche precise, ho avuto la ventura di conoscere personalmente alcuni dei personaggi del film, così come ricordo l'ambiente in cui bazzicavo e la sensazione - già allora molto netta, per chi aveva un minimo gli occhi aperti - di come fosse pieno di provocatori, di delatori, di istigatori, di gente che soffiava sul fuoco delle passioni dei nostri vent'anni per farci fare il gioco del potere, per incanalarci nella trappola mortale degli "opposti estremismi", che erano il modo migliore, per il sistema politico dell'epoca, per sopravvivere a se stesso.
Ricordo che sentivo il disagio di tutto questo, ma avevo due fuochi dentro di me: il fuoco della passione politica, sia pure ingenua e primitiva, e la speranza - intensa - di poter partecipare a una guerra, di poter "andare dentro", di poterlo fare anch'io, di dimostrare agli altri, ma soprattutto a me stesso, di essere un uomo, un vero uomo.
E' una speranza che, malgrado l'età, mi porto dentro ancora oggi e che è una delle mie tante cause di insoddisfazione, del mio senso di incompletezza e imcompiutezza. In fondo - e lo so bene - tutte le cose che avrei voluto essere nella vita non sono riuscito a farle: avrei voluto essere un guerriero, e non lo sono stato; avrei voluto essere un seduttore, e non lo sono stato, al punto che, per una totale ironia della sorte, ho sempre avuto successo con le donne che non mi piacevano, mentre ne ho avuto sempre poco con quelle che destavano il mio interesse; avrei voluto essere felice, e sono devastato da un dolore interno che aumenta anno dopo anno, nella consapevolezza che "le occasioni perdute non ritornano mai" e che la "stagione dell'amore" (dell'amore latamente inteso, di tutti i tipi di amore) sta finendo.
E' molto brutto avviarsi al momento dei bilanci sapendo che saranno carichi di passività di vario tipo. Forse è per quello che, da anni, ricerco un successo, un successo quale che sia, forse per illudermi ancora un po'. Ma mi avvicino alla morte senza aver mai imparato il mestiere di vivere e - se devo essere sincero - conoscendo i miei simili mi è persino passata la voglia di impararlo.
La mia psicologa dice che porto nel mio animo un dolore enorme, difficilmente misurabile e ancora più difficilmente colmabile. E' proprio così. Ed è per questo che, in mezzo a coltellate, appattumieramenti, dispregi, offese e quant'altro, non sono così preoccupato di quanto troverò "la mia prima notte di quiete". Almeno sarà quella in cui potrò cessare di pormi un interrogativo che mi angoscia quotidianamente, con forza crescente: "ma che cosa ci sono venuto a fare, io, a questo mondo? A soffrire, soffrire per nulla...?".
Piero Visani