mercoledì 3 aprile 2013

Il méntore

     Centro storico di Torino. Ristorante elegante. Sono a colazione, per la prima volta dopo tre anni, con una persona che considero il mio mentore. Ovviamente non è tale, né io penso di avere realmente maestri, ma ho molta stima di lui, apprezzo la sua saggezza, l'apparente distacco che mantiene dalle cose.
      Mi invita a raccontargli nei dettagli che cosa ho fatto in questi tre anni, visto che lui è stato prevalentemente all'estero e ci siamo sentiti saltuariamente, per lo più via mail.
      Avrei un milione di cose da raccontargli, ma come si fa a riassumere tre anni di vita in due ore di un pranzo in un ristorante? Inoltre, non c'è immediatezza, tra noi, non c'è confidenza, ma il rispetto che è dovuto da parte mia a una persona più anziana, decisamente più importante di me e con esperienze di vita superiori alle mie.
      Il pranzo si avvia a conclusione. Il mio compagno di tavolo mi sorride e mi dice: "un amico comune mi ha detto che lei [ci diamo, da sempre, rigorosamente del "lei"; del resto, mi ha conosciuto quando io ero poco più di un giovane laureato, mentre lui era già una persona molto importante, dunque in me è rimasta la deferenza tipica di quel periodo] ha avuto qualche traversia. E' vero?"
      Nego: "No, non è vero. Ordinaria amministrazione". Non mi piace mentire, ma talvolta è necessario.
      "Mi hanno accennato a problemi vari, societari, lavorativi, personali. Dunque solo illazioni?"
      "Sì" - rispondo - "solo illazioni".
      "Eppure lei mi sembra diverso da come la ricordavo".
      "Diverso?"
      "Sì, diverso dalla persona che conoscevo. Molto più sicuro, direi. Più maturo. Ma anche più insofferente e, al tempo stesso, più sofferente".
      Il gioco di parole mi colpisce. A volte, basta poco per stabilire nessi degni di rilievo.
     "Vogliamo parlarne?", propone con discrezione il mio compagno di tavolo.
      "No, se non le dispiace, non credo che sia il caso".
      "Magari le farebbe bene parlare, raccontarsi, spiegarmi".
      "No" - insisto - non c'è nulla da raccontare. Non è accaduto niente, niente di serio. Anzi, forse non è accaduto proprio niente".
      "Ne è certo?".
      "Sì. Una delle poche cose di cui sono certo è che, in questo triennio, non sia accaduto proprio niente e, nel caso avessi mai pensato che fosse accaduto qualcosa, è solo perché sono stato vittima di un'allucinazione".
       "Sta per caso cercando di dimenticare degli eventi dolorosi?". 
       "No, assolutamente. Il fatto è che, alla mia età, si è soliti definire per convenzione "allucinazioni" quelli che forse sono semplici raggiri".
       Sorride malizioso, mentre un lampo gli attraversa gli occhi: "Non si preoccupi, sono cose che capitano. E' il nostro destino di uomini. E in più lei, a differenza mia, ha ancora tempo e modo per rifarsi. Dunque ridiscenda subito in campo, colga l'attimo!".
      Saggezza di mentore...

                         Piero Visani

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