venerdì 19 aprile 2013

Notti e nebbie

      Per ragioni dovute all'età, dormo sempre meno e questo non è certo un bene, non dal punto di vista fisico, ma da quello psicologico. Nell'arco delle 24 ore, infatti, la notte è il momento in cui si fanno maggiormente i conti con se stessi.
      Come Robert Brasillach nei Poemi di Fresnes, sento che "la vita mi scorre tra le dita, sento l'acqua che scorre tra le mie mani". Per mia fortuna, non mi attende, come lui, una fucilazione vera, anche se devo ammettere che, in vita mia, di fucilazioni traslate ne ho subite tante, troppe.
     Un'amica psicologa mi consiglia di avere il coraggio di "fare francamente i conti con me stesso", di accusare il mio prossimo, quando lo ritengo giusto, ma anche di analizzare dove posso avere sbagliato io.
      Ci provo e ci riprovo, ci sto riprovando da mesi, anni, ma non riesco a imputarmi responsabilità particolari. Sì, sono consapevole che in molti mi rimproverano di avere un carattere assai duro e rigido, ma io non mi sento colpevole di altro che essermi sempre mosso, in tutte le cose che ho fatto, animato da molta passione e amore. Seguendo Nietzsche, io ho sempre pensato - e tuttora penso - che "tutto ciò che viene fatto per amore è al di là del bene e del male", ma devo constatare tristemente che questo mio gusto per l'assoluto non è per niente condiviso e mi crea sempre più problemi. Ormai, più che vicino a Nietzsche, mi sento vicino ai Queen di Too much love will kill you, ove per love non deve essere necessariamente inteso un trasporto amoroso, ma un modo appassionato di vivere la propria vita. E' vero: "troppo amore ti ucciderà" e a me, come persona, ha già ucciso, sta già uccidendo.
      Lo dico alla mia psicologa, le faccio notare che il mio vero problema è che non ho mai imparato il "mestiere di vivere". E ora è tardi per farlo, né sarebbe dignitoso. Così mi trascino nelle mie solitudini, pensando a come potrebbe essere "una bella morte".
      In verità, non penso nemmeno di essere vivo, penso semmai di essere il classico morto vivente, colui che si aggira stancamente per i sentieri della "non vita". E del resto io propongo irrazionalità, e mi invitano alla ragionevolezza... Io ricerco vita, e mi offrono di vegetare... Io propongo di sfasciare tutte le regole, le convenzioni e le norme possibili, e me ne creano continuamente delle nuove... Io offro di osare, e mi chiedono di rinunciare...
      Avrà certamente ragione la mia psicologa ad esortarmi a riflettere sulle mie colpe, ma io, per quanto ci rifletta e mi autoanalizzi per ore, non ne vedo. Vedo solo la mia esasperata diversità, e come tutti me la facciano scontare. Tutti i giorni risorgo dalle mie ceneri, come l'Araba Fenice; tutti i giorni parto per qualche ideale missione da compiere, e alla sera sono al punto di prima, più deluso e ferito che mai.
      Sono in una prigione e mi sento saldamente richiuso al suo interno. Faccio il mio dovere, perché quella è la mia vita, ma ho perso tutto: speranze, sogni, illusioni, fiducia nelle persone, amore per le donne. Mi rimane veramente pochissimo: la mia famiglia e il mio sempiterno gusto per la sfida. Non brucerò la mia vita nell'unica scelta di libertà che rimane agli uomini, cioè il suicidio. Morirò combattendo, visto che non mi rimane altro. Lo farò seguendo l'etica e l'estetica alle quali mi hanno cresciuto e nelle quali mi sono formato. Darò un esempio, con i miei scritti e i miei atti. Qualche giovane ingenuo e illuso, proprio come me, li leggerà, li amerà e li seguirà, magari fra cento o mille anni. Si rovinerà la vita, ma salverà il suo onore. Da tempo, vivo per questo: per indicare un itinerario possibile. Gli odi, le beffe, gli insulti, gli sputi, le discriminazioni, quelli li ho già messi tutti in conto. Io non ho speranze, io non combatto per vincere. Io combatto per l'onore, per il mio onore. E per lasciare memoria di me.
 
                                                   Piero Visani

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