giovedì 11 aprile 2013

Diario

     Molti anni fa, una persona che stimo molto e che tuttora mi onora della sua amicizia mi accennò alla sua abitudine di tenere quotidianamente un diario, relativo a tutto quanto lo riguardava, al quale, con il tempo, si era affezionato e che gli consentiva di "fissare" i vari momenti della sua esistenza.
      Per un attimo rimasi scettico sul fatto che avrei potuto adottare anch'io una soluzione del genere e, dopo averci pensato su per qualche mese, ho cominciato a mia volta a tenere un diario personale, dapprima con una frequenza abbastanza saltuaria, poi sempre più ravvicinata.
       E' fantastico poter andare a ripescare determinate date che hanno segnato la propria vita e come le si è interpretate "a caldo", che effetto hanno avuto su di noi nei giorni successivi, se e come le si è "metabolizzate", quali insegnamenti ci hanno fornito, se ce ne hanno forniti.
       Ancora oggi tengo un diario, in una forma un po' particolare, nel senso che mi limito a scriverlo nei giorni in cui ritengo sia accaduto qualcosa di importante. Dunque il mio non è un vero e proprio diario, ma posso integrarlo con tante altre cose che scrivo, a cominciare da questo blog.
     E' molto bello, nel riprendere in mano le pagine di un diario, analizzare a fondo gli eventi che hanno segnato la nostra vita, per rileggerli, magari, in chiavi diverse. Guardare a come le reazioni "a caldo" possano essere differenti da quelle che uno ha a situazioni stabilizzate, dimenticate, metabolizzate. A caldo, ad esempio, io sono piuttosto incline a interpretare certi eventi in chiave polemica, dunque come atti di aggressione ai quali fornire una risposta adeguata. Nel lungo periodo, per contro, uno si accorge che, mentre le reazioni veementi hanno un senso, perché sono tipiche di una sensibilità ferita, nel lungo periodo tende a prevalere una sorta di hegeliana "astuzia della ragione", che - senza particolari determinismi, peraltro - fa sì che si capisca che è accettabile, se non proprio giusto, che certe situazioni siano andate come sono andate.
      In effetti, le situazioni equivoche, quelle ambigue, quelle conflittuali, quelle di tensione, a caldo vengono interpretate in un modo, suscitando atti di offesa e di difesa. Nei tempi lunghi, per contro, appaiono evoluzioni quasi scontate, esiti naturali di stalli che ovviamente non possono perdurare in eterno. E' vero che tutto ciò che accade, nel momento in cui accade, può lacerare l'anima e la psiche, ma, se si riesce a rileggerlo a posteriori, tutto si trasfigura.
       I rapporti umani, ad esempio, possono rimanere statici se sono formali, tra persone che non si conoscono e non si vogliono conoscere. Quando formali non sono, per contro, i rapporti umani tendono ad evolvere. Un collega di lavoro, ad esempio, può diventare un ottimo amico, una persona con cui si condividono anche attività diverse dal lavoro in sé, come la pratica sportiva, i divertimenti, le vacanze.
       Un rapporto personale, dal canto suo, o si inserisce in una categoria statica (collega, amica, conoscente, dipendente, datrice di lavoro, etc.) o, se è bello, positivo, fecondo, rimane dinamico, può cioè diventare molte cose. La dinamica è evolutiva, cioè può fare sì che quel rapporto migliori, oppure involutiva, e fare sì che quel rapporto peggiori. Se il rapporto è sincero e non superficiale, difficilmente tornerà da dinamico a statico.
       Personalmente, non amo i rapporti statici, ma solo quelli dinamici. Ma posso benissimo capire che ci siano persone che abbiano gusti esattamente contrari ai miei. Mi è capitato spesso, nella vita, che la mia inclinazione al dinamismo venisse stoppata, in maniera più o meno cortese. Ne ho sofferto, nelle varie circostanze in cui ciò è accaduto, ma, a gioco lungo, ho accettato la soluzione che mi era stata proposta, con una sola piccola variante: respinta la mia offerta di dinamica evolutiva, ho accettato (bon gré mal gré) quella di stasi che mi veniva proposta in alternativa, con un'unica ma significativa modifica: azzerare il punto di stasi, per cui non fermarci dove eravamo e non procedere oltre, ma, dopo esserci fermati, fare rapidissimamente marcia indietro e morire alla persona e alle cose. Stasi sì, ma stasi da cimitero, non da campo di concentramento dove si potesse tenermi a vita, magari per concedermi qualche "ora d'aria" quando facevo comodo.
       Così, in casi del genere, pur soffrendo ho preferito morire alle persone o alle cose. Io non amo essere trattato come un'animale, di cui si compra la coscia, la spalla, o quant'altro. Sono un uomo verticale. Se non vado bene per intero, è giusto buttarmi via. Concordo. L'alternativa che offro io all'essere "adottato" in parte è "o tutto o niente". E se la scelta altrui è immancabilmente "niente", non mi fa piacere ma, nel medio periodo, la capisco e la condivido. Se non sono "merce" di valore, giustissimo liquidarmi.

                                 Piero Visani

Nessun commento:

Posta un commento