Quando uno porta a compimento, magari con un aiuto esterno, la propria exit strategy da una situazione e da un vissuto di cui aveva necessità di liberarsi, le sensazioni che si affollano al suo animo sono di varia natura.
La prima è di sollievo, perché bene o male ci si sente meglio.
La seconda è di tristezza, perché, in ogni caso, il sentirsi morti alle persone, al proprio vissuto, alle cose, lascia un non indifferente senso di vuoto. E' chiaro che si tratta della più classica delle forme di "elaborazione del lutto", ma, per quanto funzioni, sempre di lutto si tratta e i lutti - si sa - incidono più o meno profondamente sul nostro animo a seconda di quanto tenevamo a chi abbiamo perduto e ai nostri rispettivi livelli di sensibilità.
La terza è di pessimismo sulla natura umana, che purtroppo in taluni soggetti è intrinsecamente falsa, o soverchiamente volubile, o tendente alla radicalizzazione delle situazioni. Se devo dire la verità, non conosco alcuno, in vita mia, che da grande amico mi sia diventato grande nemico. Conosco amici che si sono persi per strada, gente che ha tradito un ideale condiviso, ma nessuno che da persona degna di alti elogi sia diventata persona meritevole del più totale disprezzo. Penso anzi che molti di coloro che ho perso per strada, a guardar bene, potessero essere già preventivamente individuati come soggetti che avrebbero disertato, o tradito, o che so io. Da oggetto di stima totale e incondizionata a oggetto di disprezzo esibito, è invece un percorso che è toccato a me, anche se certamente non solo a me.
Ne prendo atto. Non si può piacere a tutti e nemmeno si può piacere a tempo indeterminato. Ho un'esperienza in più, e ne sono fuori, per sempre. Ho compreso perché faccio schifo e, nel comprenderlo, mi sono placato. Ora so come devo intepretare il tutto e, dal momento che si tratta di un'interpretazione che certo non lede la mia immagine o gli sforzi da me compiuti per farmi capire, posso uscire di scena in via definitiva, con la coscienza tranquilla e adamantina.
Piero Visani
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