lunedì 22 aprile 2013

Storia e memoria 2

       Tra pochi giorni sarà il 25 aprile. Trionferà la retorica "resistenziale". Come ogni anno. Sempre più vuota, sempre più formale, sempre più priva di contatto con la realtà di una Nazione ormai alla canna del gas.
       Non intendo prendere posizione in un senso o nell'altro. La mia storia politica parla chiaro per me, ma la vita mi ha insegnato a riconoscere e a rispettare le "ragioni degli altri" e me lo ha insegnato maggiormente quando ho visto che "gli altri" non intendevano compiere alcuno sforzo per comprendere le mie.
        A 14 anni mi è stata applicata addosso un'etichetta, quella di "fascista", e me la sono tenuta addosso per tutto il resto della vita.
        Non ho fatto nulla per togliermela. Odio i conformismi e le scolastiche. Detesto coloro che esponevano nei loro negozi il cartello "Qui si vende solo ad ariani" e che poi, mutati gli esiti del conflitto, sono diventati (tardivamente) resistenti.
        Ho cercato di sottrarmi a tutti i conformismi, ma non mi è servito a niente. Ne sono vittima di continuo, il che è abbastanza comprensibile, visto che è lo sport più praticato dai miei connazionali. Ancora un anno fa, o giù di lì, mi sono visto ritorcere addosso accuse di tipo "resistenziale". L'intento era più modesto: farmi fuori come persona, ma, visto che alla bisogna quell'accusa poteva essere utile, ecco che me la si è buttata addosso, magari con il volto contorto in una smorfia di disprezzo. Che dire? Se volessi colpire qualcuno, guarderei all'attualità, più che ai pretesti, ma - si sa - io sono un personaggio patetico...
      E allora consentitemi di ricordare, in questi giorni di fine aprile, i ragazzi della mia parte politica. Non tutti mostri, non tutti criminali, non tutti santi, non tutti eroi. Italiani, come tanti altri, con una certa idea dell'Italia e - spesso - con una certa idea dell'onore, la mia, quella per cui le guerre si finiscono dalla stessa parte in cui si cominciano. Fin troppo consapevoli che il loro era un gesto testimoniale, dunque da "martiri" (secondo l'etimologia greca della parola), ma determinati ugualmente a compierlo, perché quello era il gesto che occorreva fare in quelle circostanze. Occorreva - sopra ogni cosa - salvaguardare l'onore. Perché la dignità e l'onore ci consegnano al futuro, anche nella sconfitta, mentre certe vittorie possono ribadire - immutata nei secoli - la nostra fama di perenne e soddisfatta cialtroneria.
      Ho già scritto in questo stesso blog che, a mio parere, chi ha ricordato meglio di tutti i "ragazzi della RSI" è stato Francesco De Gregori, ne "Il cuoco di Salò", dove, in mezzo a tante immagini care a chi stava "dall'altra parte", scrive che quanti fecero una scelta diversa e opposta erano consapevoli che "qui si fa l'Italia e si muore". Dunque non un'alternativa (come nel "Qui si fa l'Italia o si muore!" di Garibaldi), ma una sequenza logica: "qui si fa l'Italia morendo, con il nostro estremo sacrificio". Un'Italia perdente, ma capace di difendere fino all'ultimo una dignità, un onore e le ragioni di una scelta.
       Si può benissimo non condividere una sola parola di quel che scrivo, ma si può cercare di sforzarsi di comprenderne la ratio. Presto, tra l'altro, saremo chiamati a chiederci se la sopravvivenza di questo sistema politico sia conforme a quel poco, pochissimo di onore che resta a questo Paese, e ciascuno sarà chiamato a fare, in piena coscienza, scelte non meno difficili di quelle del 1943-1945. Ricordiamoci infatti - anche se cercano di fare di tutto per farcelo dimenticare - che la Storia non si ferma e che - soprattutto - "la Storia siamo noi".
 
                                                                                       Piero Visani
 
 

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