In passato, ci fu chi mi rimproverò eccessi di fretta e di parole. Da tempo pratico la politica inversa: sono fermo al punto da risultare afflitto da rigor mortis e non parlo proprio più. Non solo non potrei, proprio non voglio. I miei "fiumi di parole", la mia grafomania, sono diventati il "silenzio dell'innocente", ma, se anche fossi "colpevole", sarebbe la stessa cosa. Dei tanti, forse troppi consigli che ho avuto dalla mia "maestra di vita", da colei che aveva sempre una "buona parola" per dirmi che cosa dovevo fare, e come, uno l'ho raccolto: sono sprofondato nel mio personale "oceano di silenzio". In un primo tempo, la cosa mi è costata non poco, ma ora ho capito che è giusto.
Quando viene perpetrata un' "uccisione simbolica", la cosa peggiore che si possa fare è cercare di ostinarsi a vivere. Occorre invece accettare virilmente il proprio destino, e passare in un'altra dimensione. Infatti, poiché di "omicidio simbolico" si tratta, uno defunge come simbolo, non come uomo in carne e ossa. Dunque io sono transitato in un'altra dimensione, che - tra l'altro - è più "mia" di quanto non fosse la precedente. Quella, infatti, era una dimensione di mediazione nella quale ero deliberatamente sceso per esercitare la mia arte maieutica. Fallita malamente quest'ultima, è tempo che vada altrove, che ritorni nelle dimensioni che mi sono proprie, che riprenda totalmente in mano la mia vita.
Avevo cercato di avvicinare "mondi lontanissimi", mal me ne incolse. Non nutro rimpianti, né ho rimproveri da fare. Il silenzio cui sono stato "vocato" era, in precedenza, una soluzione che avevo accettato senza comprenderne le ragioni, perché mi era stata imposta. Ora ho capito tutto [meglio tardi che mai, direte...], ho accettato la mia "uccisione simbolica" e posso "andare verso la vita". Il ponte che avevo cercato di gettare verso dimensioni esistenziali diverse dalla mia, ma a mio giudizio integrabili, è stato fatto deliberatamente crollare. Ovviamente non se ne può costruire un altro. Dunque non c'è più niente da dire. Non resta che il silenzio, quando il dialogo disturba e perturba.
Piero Visani
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