lunedì 20 maggio 2013

Blackmail

       Mi telefona un mio partner di lavoro. Salta i convenevoli, che pure gli sono abituali, ed entra subito in medias res.
       "Che cosa hai fatto a quelli della società XY? Mi ha telefonato infuriato l'amministratore delegato, dicendo che sei pazzo".
       Sorrido, non siamo su Skype e posso permettermelo...: "Non ho fatto niente. Quanto a dire che sono pazzo, vuoi la lista di quanti lo dicono un giorno sì e l'altro anche?".
       "Non scherzare. La cosa è seria. Minacciano di toglierci il contratto".
       "Ah sì?" - chiedo ironicamente - "Ma perché quello che ci hanno proposto per loro sarebbe un contratto?".
       "Che cos'è, secondo te?" - obietta sempre molto teso il mio interlocutore.
       "E' l'ennesimo, penoso e anche un po' patetico ricatto, stile: 'voi siete piccoli, io sono grande; ergo, o fate come dico io o siete fuori".
       "Cosa c'è che non va?" - obietta lui - "Sai com'è il loro stile".
       "Sì, lo so bene. E dico che è tempo di cambiarlo".
       "Ma sono loro ad avere il coltello dalla parte del manico".
       "Appunto. E io ho afferrato con forza la lama".
       "Cosa vuoi fare?" - chiede lui, tra il rassegnato e l'incuriosito.
       "Voglio solo fargli capire che, per portare a compimento un ricatto, occorre essere in due: il ricattatore e il ricattato. Il primo c'è, il secondo no".
       "Vuoi dirmi che l'hai mandato a quel Paese", chiede lui, con il tono di chi vorrebbe non crederci.
       "Esattamente. Gli ho detto che i ricatti li faccia con i suoi subordinati, non con me, non con noi. Siamo piccoli, ne siamo consapevoli. Siamo rispettosi e talvolta anche umili. Servi suoi, però, non lo saremo mai".
       Attimi di silenzio, un tempo che sembra breve e in realtà è lunghissimo. Poi quasi un rantolo: "ma così perdiamo la commessa...".
        "Lo so, e mi dispiace. Ma nell'altro modo perdiamo la faccia. E io proprio non ci sto".
        "Sei incorreggibile" - sospira lui.
        "Non dire così" - replico io - "semplicemente non amo i ricatti".
        "Dobbiamo tenere conto dei rapporti di forza", aggiunge, sempre più rassegnato.
        "Certamente sì, e lo abbiamo sempre fatto. Però una cosa è tenere conto dei rapporti di forza, un'altra è porgere le terga".
        "Posso cercare di ricucire?" - si preoccupa di sapere il mio interlocutore.
        "Certamente sì" - rispondo - "Ma io esigo rispetto. Se non mi rispetti, se cerchi di fregarmi, di circuirmi, di ricattarmi, di dettarmi le regole del gioco, di dirmi che cosa devo fare, faccio saltare tutto".
         "Non cambi mai".
         "Non vedo perché dovrei".
         "Dobbiamo pur vivere, altrimenti siamo morti" - alza il tiro lui.
         "Guarda che l'unico modo certo di morire è calare le brache. Ora, se non ti spiace, dovrei lasciarti perché ho altre cose urgenti da fare".
          "Dunque? Che faccio?".
          "Mandali a fare in culo da parte mia, ma con i miei rispetti. La prima parte della frase è uguale al loro comportamento nei nostri confronti. La seconda è segno della mia grande educazione. E, in ogni caso, se loro non vogliono capire con chi hanno a che fare, farebbero bene a "pesarmi" meglio".
           E riaggancio.
 
                                              Piero Visani

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