venerdì 31 maggio 2013

Ironie della storia (con la s minuscola)

       Un'università del Nord Italia.
        Interno giorno. Ufficio di una docente.
       La mia interlocutrice è una donna dai capelli castano scuri, molto ben vestita, di età appena superiore ai 50 anni (l'avrei fatta decisamente più giovane, ma ho letto il suo profilo accademico). L'aspetto è sussiegoso, ma non il comportamento.
       "Sono molto lieta di conoscerla, dottore. La nostra comune amica Federica mi aveva parlato molto bene di lei". Sorride, ma lo sguardo è attento, inquisitore, penetrante.
        "Conosco Federica da una vita, è molto benevola con me".
         "Al contrario: ho letto e apprezzato moltissimo il suo contributo. Mi complimento".
         Sono al cospetto di questa persona nella mia qualità di ghostwriter professionale. Mi aveva chiesto di scrivere un saggio sui rapporti uomo-donna nella società contemporanea. Le è molto piaciuto e ha voluto conoscermi personalmente.
         "La ringrazio per avere raccolto il mio invito" - mi dice sorridendo.
         "Ero qui per altri motivi di lavoro, non potevo mancare".
         "Posso farle una piccola considerazione di carattere personale?" - mi dice, con aria lievemente ironica.
         "Prego..."
         "Ho apprezzato il suo equilibro nella descrizione del rapporto tra i due sessi".
         "Ne dubitava? E, in caso affermativo, perché?"
         "Federica mi ha accennato a qualche suo piccolo problema personale" - e lo sguardo ironico si accentua.
         "Davvero non so a cosa si riferisca. Federica a volte fa illazioni" - rispondo asciutto.
         "In verità mi ha segnalato il suo blog e, dopo aver letto parecchi post, non direi che si tratti propriamente di illazioni..."
          "Se mi permette, nella società contemporanea il confine tra reale e virtuale è sottile" - rispondo divertito.
          "Per caso lei se ne ritiene vittima?" - insiste lei, e questa è una stoccata dura, ben diretta a bersaglio, con il preciso intento di colpire e fare male.
          "Beh, se è una lettrice del blog lascio a lei le conclusioni..."
          Sorride. Sguardo da femmina solidale. Non con me, con le altre femmine...
          Momento di autentico gelo, vestito di sani formalismi, ma bello algido.
          "In ogni caso, diciamo che ha saputo estraniarsi bene, nel saggio che le ho commissionato, dalla storia virtuale raccontata nel blog... Il suo scritto è infatti esemplare per equilibrio". Le frasi sono formalmente perfette. Tono e sguardi sono lievemente fastidiosi. Mi sta prendendo per i fondelli.
           "Ne sono lieto. Per un autore è sempre difficile staccarsi da un'opera per dedicarsi a un'altra".
           "E' vero, è vero. Ora cosa farà, dottore, tornerà al suo blog di fantasia?". Incomincio ad irritarmi, perché dal fioretto la signora sta passando alla sciabola.
            "Sì, farò così".
            "Bene, allora le auguro migliore fortuna che in passato, nelle storie che racconta". E si alza per congedarmi.
            "La ringrazio. Non so se proprio di fortuna si tratti, oppure di altre virtù femminili che, per rispetto nei suoi confronti, mi asterrò dal citare. Tuttavia, tra perfido e stupido, preferisco essere stupido".
           "Contento lei...", mi sorride beffarda stringendomi la mano.
           Esco nel campus, in mezzo a decine e decine di studenti. Li guardo e quasi mi vergogno: ho scritto un saggio - non a mio nome, ovviamente - dove si parla del dialogo tra i sessi. E ho detto che esiste. Mi sento un verme. Avrei voluto raccontare quello che penso realmente, e sicuramente, nel caso l'avessi fatto, sarei stato preso pesantemente in giro dalla curatrice dell'opera. Non l'ho fatto, e mi ha preso in giro ugualmente. Ritorno a casa in preda a una lieve irritazione, che peraltro, strada facendo, mi passa. La buona musica sparata dal mio impianto stereo di bordo mi placa.
            Ci vuol pazienza, si divertono così... Ci vuole tanta pazienza. Credono di essere intelligenti. Al massimo sono furbe, e molto cattive. Lasciamole fare, siamo magnanimi. I mostri siamo sempre noi. Accettiamo virilmente il nostro ruolo storico.
 
                                           Piero Visani

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