Ho sempre cercato, nel corso della mia vita, di congiungere solitudini. Ho sviluppato una sosta di sesto senso, nell'individuarle e, ogni volta che le ho individuate, ho avanzato la mia proposta per porvi rimedio, per gettare un ponte tra due solitudini, la mia e quella dell'altra persona.
L'ho fatto con uomini e con donne. In modo diverso, ovviamente, ma con entrambi i sessi. Talvolta, quando le donne di cui percepivo la solitudine esistenziale mi piacevano particolarmente, ho cercato di sviluppare una relazione sentimentale e sessuale, ma, se mi veniva detto di no, per qualsiasi motivo, non mi sono negato a soluzioni che comunque ci facessero sentire un po' meno soli a questo mondo. A due condizioni: 1) che restasse forte l'idem sentire; 2) che la scelta amicale non mi venisse presentata come una sorta di soluzione di ripiego, perché io non sono un ripiego, ma sono una persona decisamente fuori del comune (e amerei che venisse percepito). E dunque, se non si fa tutto con me, non è che quel qualcosa sia residuale, può essere meglio di tutto. Ma le donne italiane tendono a farti sempre cadere tutto dall'alto (dall'alto di che?) e questo è assai difficile da tollerare, perché paiono dirti: "Accontentati!". Non: "troviamo altre soluzioni". No, proprio "Accontentati!". E questo ti fa sentire il classico eunuco, quello che accetta "patti leonini", non si sa bene perché. Se la cosa fosse su un piano di uguaglianza, sarebbe accettabile; così, diventa la classica presa in giro, che naturalmente, se del caso, ti sarà fatta pesare, oh se ti sarà fatta pesare...
Quasi sempre una soluzione è stato possibile trovarla, nel rispetto reciproco, non a caso vanto amicizie di vecchia data, non solo maschili, ma anche femminili, perché è tutto una questione di reciproca chiarezza. Certo, con le donne che mi sono piaciute di più è stato molto difficile passare dalla passione (consumata o meno che sia stata) all'amicizia, perché una diminutio capitis del genere per me è assai difficile da accettare. E tuttavia, in taluni casi, siamo riusciti comunque a ritrovarci.
Ecco perché, in questo mio après guerre, mi sento a posto con la coscienza, ma triste. Triste perché so bene, perché ricordo bene, perché mi era parso tutto vero e non tutto falso. Perché avevo gettato infiniti ponti. Vederli lasciati cadere tutti mi pone migliaia di interrogativi, nessuno dei quali è particolarmente piacevole. Mi viene in mente un saggio storico di Cornelius Ryan, Quell'ultimo ponte (A bridge too far, nella versione originale) e anche lì non finiva per niente bene... Corsi e ricorsi storici. E solitudini che crescono, invece che diminuire. Mah...
Piero Visani
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