Non essendo un egalitario, io amo la parità: la parità di opportunità, di situazioni, di basi di partenza. Gli egalitari - quelli falsi, perché io ho francamente qualche dubbio che ne esistano di veri - amano l'eguaglianza soprattutto per gli altri. Loro, per contro, si mettono da parte, in una condizione dalla quale possano guardarti con una certa degnazione. Siamo tutti uguali, ma loro un po' di più.
A me, per contro, piace l'eguaglianza vera, quella da partita a rugby (che infatti raramente finisce in un pareggio): una squadra attacca, l'altra si difende, senza esclusione di colpi (di fronte, non alle spalle). Gli attaccanti riescono a segnare una meta e allora saranno quelli che fino a quel momento avevano difeso a dover cercare di riequilibrare, segnando una meta a loro volta, le sorti del match.
Dunque non ho problemi, nei miei rapporti con gli altri, a subire attacchi. E' normale, è perfino legittimo, fa parte dell'ordine naturale delle cose. Spesso, quando sono attaccato, sono io a dover subire delle mete. Non sono certo imbattibile. Le subisco. Ululo di rabbia se sono state segnate dall'avversario con dolo o magari con un certo sostegno da parte dell'arbitro. Dopo di che cesso di ululare, mi prendo la palla, che a quel punto, per regola di gioco, tocca di diritto a me e riprendo la partita per cercare di segnare una meta a mia volta. Talvolta ci riesco, talaltra no.
Se ci riesco, lascio la palla all'avversario e tocca a lui riprendere la partita, per cercare di segnare nuove mete. Questo è il rugby, questa è la vita.
Ma che partita sarebbe se, dopo aver subito una meta con un certo dolo, con alcuni di quei trucchetti - tipo fare "velo" - che nel rugby sono assai peggio, proprio in quanto dolosi e non "guerrieri", che prendere un avversario a botte in mezzo al campo (quello fa parte del gioco, è lecito abbattere tutto, meno l'erba), nella fase successiva ne segnassi una anch'io e vedessi l'avversario che, invece di riprendere la partita, si mette a strepitare e a dire che non vuole giocare più, anzi se ne va proprio dal campo?
Ma non era una partita regolare? O era una partita in cui doveva esserci un vincitore unico, quello che aveva scelto di voler vincere? E difendersi è vietato...?
E' vero che un bel gioco dura poco, ma si può sapere come comincia, non come finirà. A volte, proprio come nel pugilato, anche nel rugby si può sbagliare nella scelta dello sparring partner, e allora son dolori. Lo dice anche Paolo Conte, in un brano mitico, che, se letto con la dovuta attenzione, può indurre a fantastiche riflessioni:
È un macaco senza storia,
dice lei di lui,
che gli manca la memoria
in fondo ai guanti bui
ma il suo sguardo è una veranda,
tempo al tempo e lo vedrai,
che si addentra nella giungla,
no, non incontrarlo mai
Ho guardato in fondo al gioco
tutto qui? ma - sai -
sono un vecchio sparring partner
e non ho visto mai
una calma più tigrata,
più segreta di così,
prendi il primo pullmann, via
tutto il reso è già poesia [reso, non resto...: piccola variante mia]
Avrà più di quarant'anni
e certi applausi ormai
son dovuti per amore,
non incontrarlo mai
stava lì nel suo sorriso
a guardar passare i tram,
vecchia pista da elefanti
stesa sopra al macadàm
È un macaco senza storia,
dice lei di lui,
che gli manca la memoria
in fondo ai guanti bui
ma il suo sguardo è una veranda,
tempo al tempo e lo vedrai,
che si addentra nella giungla,
no, non incontrarlo mai
Ho guardato in fondo al gioco
tutto qui? ma - sai -
sono un vecchio sparring partner
e non ho visto mai
una calma più tigrata,
più segreta di così,
prendi il primo pullmann, via
tutto il reso è già poesia [reso, non resto...: piccola variante mia]
Avrà più di quarant'anni
e certi applausi ormai
son dovuti per amore,
non incontrarlo mai
stava lì nel suo sorriso
a guardar passare i tram,
vecchia pista da elefanti
stesa sopra al macadàm
Chiaro, anzi chiarissimo, no?
Piero Visani
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