martedì 7 maggio 2013

Legacy

        Buio. Un'oscurità talmente fitta da sembrare inconcepibile, in uno studio professionale. Come zombie, in quel buio si aggirano, con aria efficiente, segretarie che paiono motivare - ad abundantiam - la considerazione vendittiana sulle medesime contenuta in "Notte prima degli esami".
       Vengo introdotto nello studio del dominus. E' un professionista molto giovane e l'ho scelto proprio per tale ragione. Garantisce continuità. E' già informato di tutto. Mi conosce vagamente e mi guarda con aria che va dall'ironico all'incuriosito.
       "E' sicuro di voler fare quanto mi ha indicato?" - mi chiede.
       "Certamente".
       "Lo conferma?".
       "Confermo".
       "Dovrò fare quanto indicato del documento che mi viene consegnato?".
       "Ovviamente sì. Sono qui per questo. E inoltre il documento è corredato da ampie e circostanziate istruzioni".
         "D'accordo. Converrà tuttavia con me" - mi dice - "una certa singolarità del tutto".
         "Non vedo in cosa. Non sono certo il primo a farlo".
         "Non dico questo. E' che in genere gli intenti di documenti di questo tipo sono diversi".
         "E' un problema?" - chiedo, con tono vagamente infastidito.
         "No, assolutamente no. E' semmai una implicita richiesta di conferma".
         "L'ha avuta, ed esplicita". Ribadisco.
         "Ci sarebbe un ultimo adempimento da soddisfare", incalza lui, "a fini di archiviazione delle cosa. Che nome diamo al documento?".
          Ci penso su un attimo, poi replico, con un sorriso vagamente ironico: "Che ne dice de 'Le ragioni del torto'"?
           E' un giovane intelligente e arguto, lo so bene, e forse vorrebbe sorridere, ma si trattiene. La deontologia professionale glielo impedisce. Mi guarda con appena un lampo di ironia negli occhi, poi esclama: "Bene, allora è tutto a posto. Il documento è preso in carico e, nel caso si dovessero verificare le circostanze da lei descritte nella memoria di accompagnamento, saranno attivati tutti i passi conseguenti".
            "Perfetto, grazie. Quanto le devo?".
            "Assolutamente niente. Lo consideri un omaggio che le faccio in nome della sua amicizia con mio padre".
             "Mi permetto di insistere".
             "Non è il caso, davvero. e' un piacere. Se mi posso permettere una notazione di carattere personale, mi auguro che prima o poi venga ad annullarlo" e, nel dire questo, mi sorride.
             "Va bene, la ringrazio e lo terrò a mente".
             "Posso permettermi una domanda?", insiste lui.
             "Certo".
              "Lei non pensa che sarebbe stato meglio procedere al tutto a mente fredda?".
             "E' stato fatto a mente fredda, freddissima. Faccio tutto a mente fredda. Non volevo solo che la cosa affondasse nelle nebbie della memoria, che trasfigura tutto e muta le valutazioni".
              "Capisco", ribatte lui. "A questo punto, siamo a posto così".
              Lo ringrazio con il calore che merita, lo saluto e mi avvio all'uscita, lieto di emergere da quella oscurità al sole che illumina le vie eleganti della precollina torinese, e lieto altresì di avere fatto, a questo punto, tutto quello che dovevo.
 
                                               Piero Visani

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