Di ritorno dal Salone del Libro, non c'è niente di più piacevole che esaminare con calma i libri acquistati, scoprirne peculiarità e contenuti, leggere qualche passo qua e là, pregustando la gioia di una successiva lettura per intero.
Nelle nostre vite, ormai immerse nella più totale degradazione del piacere, alle prese con assurdi problemi di sopravvivenza legati al nostro fatto di vivere nella peggiore degenerazione di uno Stato etico, lo Stato economico-fiscale, quello in cui i nostri diritti di cittadini sono di lavorare per un Moloch che tutto annienta e stritola, comprese le nostre esistenze ormai totalmente residuali, questi piccoli piaceri sono quanto ci tengono ancora lontani dal suicidio, o dalla rivolta armata.
Amo i libri. Mi hanno accompagnato nella vita, fin da bambino. A 7-8 anni leggevo già tutta la produzione di Emilio Salgari e, da allora, non ho smesso più, con una grande predilezione per la saggistica, piuttosto che per i romanzi.
Oggi, insieme alla musica, sono il mio ultimo rifugio, l'ultimo angolo in cui confinarmi prima del collasso finale. Persa ogni speranza nei rapporti umani, nel lavoro, nella vita, nel presente e nel futuro, i libri servono per darmi quella serenità che si rende necessaria per le decisioni fatali. Io non cerco distrazioni, non le ho mai cercate, ma sono solito guardare in faccia la realtà.
La prima di queste è che non voglio essere sepolto in questo paese (scritto rigorosamente minuscolo, come si addice alle fogne) bastardo, porco, schifoso, verminoso, che ho amato con tutte le mie forze, quando ero ragazzo, e che ora odio con tutte le mie forze. Mi considero apolide e, se qualcuno mi chiede se sono italiano, mi infastidisco profondamente, ai limiti della collera.
Mi farò cremare, anche se non sono favorevole alla cremazione, e farò spargere le mie ceneri su qualche "campo dell'onore" che deciderò all'ultimo, per stare in compagnia, da morto, con chi non mi ha tradito.
Di tutto il resto, non voglio sapere più nulla. Farò il mio dovere di soldato. Null'altro. Come ho sempre fatto.
Piero Visani
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