Ho sempre considerato l'uguaglianza, alla stessa stregua della democrazia, una "sifilide dello spirito". E mi sono sempre comportato di conseguenza. Non mi interessa il concetto, non lo pratico. Divido il mondo in persone di cui ho considerazione e persone di cui non ne ho. Non mi sento né sopra né sotto. Non mi sento proprio. Non mi sento di appartenere a questo mondo. Ci vivo come un "turista per caso".
A priori, rispetto tutti e non pretendo dagli altri nulla, solo che rispettino me come io rispetto loro. Vivo e lascio vivere, facendomi i fatti miei.
Da ragazzino, diciamo prima dei 14 anni, pensavo di essere fortunato a vivere in un mondo di eguali, perché così avrei dato e avuto rispetto.
Quale colossale ingenuità fosse questo mio pensiero adolescenziale ebbi modo di scoprirlo a partire dal ginnasio, dove mi accorsi a mie spese che, in questo "fantastico mondo degli eguali", c'erano alcuni che erano più eguali degli altri, e io - ahimè! - non ero tra loro.
Fu così che maturai il mio amore per i fautori dell'ineguaglianza, che - ai miei occhi da allora sempre ingenui, ma un pochino più smagati - avevano uno straordinario merito: non promettere ciò che non potevano mantenere. Costoro non volevano un mondo di (finti) eguali, ma uno di veri diseguali, e si davano da fare per crearlo. Con la mia inclinazione alla sincerità, come non avrei potuto apprezzare la loro?
Da allora, la mia vita è stata un lunghissimo confronto/scontro con quanti ti dicono che sei uguale, ma lo ammettono solo in teoria. Nella pratica, sono i più terribili inegalitari che abbia mai conosciuto, dei fantastici super-reazionari.
Faccio un esempio concreto: tempo fa, sono stato caldamente pregato da una persona di non importunarla più, perché le mie attenzioni le davano molto fastidio. La cosa mi è molto dispiaciuta, perché con quella persona mi ero speso molto, da vari punti di vista. E mi sono di conseguenza sentito ferito e punto sul vivo. Ho reagito con acredine, ma ovviamente ho fatto subito ampi passi indietro, perché certo non intendevo ulteriormente infastidirla.
La mia rabbia è stata giudicata inopportuna, immotivata e puerile, da quella persona. E io ho preso atto di questi giudizi, pur non condividendoli.
In base al principio di uguaglianza, ho ritenuto opportuno che, visto che davo fastidio sul piano personale, fosse stato meglio che non ne avessi dato più anche su quello professionale, e dunque mi sono fatto da parte anche lì, spiegando le ragioni delle mie valutazioni e delle mie decisioni, con la durezza che ritenevo necessaria in quei frangenti.
Non l'avessi mai fatto! Da allora sono diventato un demone.
Ne ho preso atto da tempo e non ne faccio un problema, però mi chiedo e chiedo: dov'è l'uguaglianza? Io sono stato "caldamente" esortato a togliermi di torno e l'ho fatto. A mia volta, ho pensato bene di cogliere l'occasione per liberarmi dei miei pesi, di quanto di quella persona creava un problema a me. La cosa è stata erroneamente interpretata come una rappresaglia, mentre era semplicemente dettata da un desiderio di eguaglianza.
Non mi pare di aver commesso crimini, solo di aver fatto in modo che si determinasse una parità di trattamento, che si stabilisse una situazione di uguaglianza. Perché avrei dovuto subire passivamente una situazione che non mi andava più, così come non andava più alla persona che mi aveva chiesto di togliermi di torno? Non ho forse fatto quello che mi era stato richiesto? Uscendo di scena, non ho forse fatto quello che mi era stato chiesto di fare: sparire?
Direi proprio di sì, e in effetti così mi sono comportato: sono uscito di scena, magari con un po' di fragore, magari con qualche scatto di collera di troppo, ma sono uscito di scena. In definitiva, non ho fatto altro che quello che mi era stato chiesto, in pieno spirito di uguaglianza. Ecco perché non riesco a capire "le ragioni di tanto risentimento" (postumo). Se uno ti dice: "ma vattene via!", e tu lo fai, dove sta il problema? Non hai fatto quello che ti è stato ingiunto di fare? Che altro avrei dovuto fare, suicidarmi? Che strana concezione di eguaglianza... Io ero invadente, irritante, esondante, grafomane, noioso, insolente e maleducato. Una volta che me lo si è fatto notare, ho fatto a mia volta qualche piccola precisazione e poi sono uscito di scena. Non vedo lo scandalo, ma una semplice applicazione del principio di eguaglianza. O forse io sono meno uguale di altri? Non posso pensare, direi che non oso nemmeno supporre che - sotto sotto - gli egalitari siano inegalitari. Sono certo che ora il piccolo equivoco si sia chiarito: tu butti via una cosa a me, io butto via una cosa a te. Pari e patta. E tutti contenti.
Piero Visani
Nessun commento:
Posta un commento