James Ewell Brown (familiarmente abbreviato in Jeb) è stato uno dei miei miti giovanili. Comandante della cavalleria dell'Armata della Virginia Settentrionale, quella entrata nella leggenda agli ordini di Robert Edward Lee, colpì il mio immaginario di ragazzino che leggeva tutto il leggibile sulla Guerra Civile americana (e, all'epoca, prima ancora che uscisse il fondamentale studio di Raimondo Luraghi, in lingua italiana sul tema c'era poco o nulla) per il suo essere un militare serio e professionale, ma al tempo stesso un elegantone, sempre agghindato perfettamente; un grande amante delle donne e soprattutto un grande amante della vita, possibilmente della bella vita.
Insieme a Nathan Bedford Forrest, fu uno dei più grandi comandanti di cavalleria della Guerra Civile e certamente uno dei più grandi comandanti di cavalleria della storia.
Conosciuto e celebrato per le sue incursioni in profondità all'interno delle linee unioniste, si dimostrò clamorosamente assente in occasione del decisivo scontro di Gettysburg (1-3 luglio 1863) e probabilmente non si riprese più, a livello psicologico, da quella macchia.
Anni fa, in occasione del mio secondo viaggio nel Sud degli Stati Uniti, ebbi modo di risiedere alcuni giorni in un bel resort nei pressi di Richmond (Virginia) e in particolare di Yellow Tavern, la località in cui Stuart trovò la morte in combattimento il 12 maggio 1864, quando ormai le sorti del conflitto erano gravemente compromesse. Avrei voluto portare un fiore e una bandierina confederata sul cippo che ricorda l'evento, ma poi, per ragioni varie, non mi fu possibile. Me ne dolgo ancora ora.
La sua figura, per altro, è controversa: celebrato come un eroe della Confederazione durante il conflitto, le sue effettive prestazioni in campo militare sono state successivamente sottoposte ad attento scrutinio, con giudizi non sempre convergenti.
Da ragazzino, ovviamente, tutto questo non potevo saperlo e neppure credo che mi importasse molto. Per me, Jeb Stuart era un eroe e al mito dell'eroe resto legato tuttora. Mi autorizza a sperare che ci possa essere una vita diversa da quella che ho fatto e che, magari in una prossima esistenza, mi sarà dato di trovare quello che non ho trovato in questa. Dopo tutto - come canta Francesco Guccini ne La locomotiva - "gli eroi son tutti giovani e belli". E io non sono né l'una né l'altra cosa.
Piero Visani
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