giovedì 16 maggio 2013

Californication

      Sono un appassionato cultore di serial televisivi. Ne vedo a bizzeffe. Offrono una dimensione culturale che spesso manca ai film, in quanto interpretano realmente (o influenzano...) l'anima profonda di un popolo. Inoltre - e questo non lo dimentico mai - rappresentano uno dei più poderosi strumenti di soft power (secondo l'ormai classica definizione di Joseph S. Nye) di cui dispongano gli Stati Uniti, per cui vederli è fare una specie di corso di comunicazione, persuasione e manipolazione di massa.
        In passato, mi è capitato di appassionarmi a serie come Over There, X-Files e NCIS (di cui apprezzo l'ironia), oppure del fantastico Luther (molto più sfumato e ricco di implicazioni di vario genere, in quanto frutto di una cultura europea), mentre non mi è granché piaciuto Lost. In assoluto, quelli che ho amato di più sono Dexter (per il suo formidabile carico di ambiguità) e soprattutto Californication.
        Girato tra Venice e Santa Monica, dunque in una parte della California che ho avuto modo di conoscere abbastanza bene, Californication è vivificato dalla straordinaria interpretazione di David Duchovny, il quale, essendo già di suo nella vita un sex addict, riesce a rendere alla perfezione, nella finzione scenica, un suo doppio, Hank Moody.
         Scrittore fallito, padre discutibile, marito non propriamente affidabile, Hank Moody rappresenta un concentrato di ciò che avrei voluto essere, e non sono stato. Anche lui mescola disordinatamente sentimenti e sesso, anche lui vorrebbe essere migliore ma non sempre riesce ad esserlo, anche lui deve difendersi dalla vita e lo vorrebbe fare a suo modo, mischiando genio (che c'è, in lui, indiscutibilmente) e sregolatezza, che c'è in misura ancora superiore. Anche lui, disilluso su quanto lo circonda, vive alla giornata cercando soprattutto varie forme di piacere, al vertice delle quali si pone il piacere sessuale.
         Californication, come molti serial statunitensi, è in realtà pervaso, alla radice, da una solida nota di bigottismo, poiché tutto è costruito in modo da far vedere che, nel profondo, il protagonista in realtà nutre "buoni sentimenti", cosa molto gradita nei perbenistici States. Ed è anche sempre pronto a pentirsi degli "errori" commessi (il che facilita al serial di essere trasmesso da canali televisivi importanti).
        A me, per contro, Californication piace per questa dionisiaca ricerca della debauche da parte di Hank Moody, che non vive, poiché ha cessato di credere che sia possibile vivere, e si lascia semmai vivere, non credendo più a nulla di ciò che vede, afflitto nel profondo da una disperazione che gli altri leggono come depravazione, mentre di pura e semplice disperazione si tratta.
        Hank Moody è un "morto vivente", alla stessa stregua di quelli che lo circondano, con la fondamentale distinzione che lui, a differenza degli altri, lo sa. Vede tutte le contorsioni che una società che muore fa per fingere di sopravvivere, ci ride su e cerca di accelerare il proprio decesso individuale, di modo che sia antecedente a quello collettivo.
         Hank Moody non ha morale perché si chiede a che cosa potrebbe giovargli una patina di berbenismo borghese in un mondo che si sta letteralmente squagliando, distrutto dalla sua nullità e dalla sua totale autoreferenzialità. Hank Moody fa sesso con tutte, comprese le figliastre, in quanto il sesso è l'unica cosa che lo faccia sentire, almeno parzialmente, vivo. E' un attimo di felicità intensa in un universo di orrore. Egli racconta e descrive agli altri, spesso interpretandolo in prima persona, quell'orrore che gli altri non vogliono vedere. E gli altri, naturalmente, non accettano questa sua sincerità, così crudele per loro, e dunque gli imputano tutte le colpe. Da questo punto di vista, egli è un autentico capro espiatorio.
        Naturalmente, molte parti di Californication sono costruite al solo scopo di épater le bourgeois, e la cosa è tanto più evidente se si pensa alla natura fortemente repressa della società americana, specie di quella di provincia. Pur con questo evidente limite, tuttavia, si tratta di una serie a mio giudizio degna della massima attenzione, perché ha un unico obiettivo: quello di denunciare, attraverso la creazione di un'iperrealtà, tutte le storture della realtà. Moody è dunque esemplare, nella sua negatività, ma in realtà egli è una delle poche persone vere rimaste in una società di falsi, in quanto ha il coraggio di comportarsi seguendo i propri istinti, giocando a carte scoperte.
        Amo Californication. E' un urlo disperato nel silenzio. E' l'urlo di colui che sa e vede, e vorrebbe renderne partecipi gli altri, ma, non riuscendo a destare la loro attenzione per vie normali, allora sceglie deliberatamente di ricercarla con altri mezzi, riducendo tutto a sesso e biologia.
        Del resto, sesso e biologia sono le uniche cose che veramente contano, a questo mondo. Sono le strutture. Tutto il resto sono semplici epifenomeni, a cominciare dalle morali, dalle religioni, dalla richiesta di essere virtuosi e da tante altre geremiadi in serie. "Scopo ergo sono": questa la filosofia di Moody, e ormai anche la mia. Altrimenti non sono, altrimenti sono destinato - anche se ho qualche virtù intellettuale o morale o umana - a finire in qualche cassonetto. Nessuno, ma proprio nessuno, in vita mia, mi ha mai valutato per il mio cervello. Non dico che mi abbia valutato per il mio pene, dico che non mi ha valutato mai per il mio cervello. E allora, se proprio devo buttarmi via, lo voglio fare distruggendo tutto, portando tutto via con me, cervello compreso, oltre naturalmente a quanti lo hanno apprezzato così tanto.... Non esiste soltanto - per dirla con Hannah Arendt - la "banalità del Male". Esiste anche l'eccezionalità del medesimo. Se gli "umani" (umani?) mi vogliono in tutti i tipi di cassonetto disponibili, bene, a mia volta vedrò come difendermi. Se questa è criminalità, criminalità dionisiaca, ben venga.
 
                          Piero Visani
    

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