Seguo sempre con attenzione gli interventi di Carlo Freccero sulla televisione e la comunicazione televisiva. E' un esperto di cui ho stima e di cui condivido molte idee.
Dal momento che una possibile svolta professionale mi sta riportando ad occupare una parte importante del mio tempo per lo sviluppo della comunicazione di un progetto molto ambizioso in un settore specifico, sto procedendo ad un'attenta rilettura della principale bibliografia sul tema, completa di tutti gli aggiornamenti. Così, vedendo che ieri sera Freccero era ospite di Lilli Gruber su La7, ho seguito con attenzione le cose che diceva sul fenomeno televisivo e i suoi sviluppi.
Quello che mi ha colpito di più, tuttavia, è stato altro; è stata la sua considerazione sul fatto che la società contemporanea non va bene in quanto onusta di cinismo e vuota di passione. E ancor più ho apprezzato il suo invito - una vera e propria esortazione - a ritrovare passione in tutte le cose che facciamo, a suscitare em-patia, a immergerci nel pathos, a ritrovare il gusto per l'impegno.
Tra le persone che conosco, pochissime sono quelle che - come me - fanno le cose per passione. Però le individuo al volo, divento facilmente loro amico, vedo quanto partecipino a quel che fanno. Uno dei miei nuovi soci è così e credo di averne colto la natura fin da quando, nell'ottobre scorso, avemmo modo di conoscerci personalmente.
La sua passione, il suo entusiasmo, la gratuità delle sue azioni e dei suoi gesti sono così elevate che talvolta, oltre a sorprendermi, mi commuovono. Vedo in lui un amore per il lavoro che è certamente superiore al mio, che pure credo sia molto elevato.
Freccero ha ragione: il nostro progressivo immergerci nel cinismo ci ha trasformato in degli "scettici blu" che guardano a tutto solo con distacco; che si appoggiano sulla vita, ma non la vivono davvero; che hanno in mente solo la vacanza, cioè l'assenza.
Io ho avuto la fortuna, in questi ultimi mesi, di trovare alcune persone nutrite di questo fuoco interiore, e la convergenza tra noi è stata spontanea, così come altrettanto spontanee sono state la comprensione e la solidarietà. Ci siamo immediatamente riconosciuti: ci pervade un intimo fuoco, abbiamo voglia di costruire, di fare, di dare corso alle nostre ambizioni. E i nostri rispettivi pathos si sono facilmente incrociati e sposati, per automatismo.
Nessuno di noi disprezza il denaro, di cui tutti conosciamo il valore, ma la spinta interiore che ci muove non è di tipo economicistico, non è puramente mercantile. E' un qualcosa che va oltre, è un desiderio di crescere, di raggiungere obiettivi, di diventare sempre più grandi e forti.
Per uno come me, che ha trascorso la propria vita immerso nelle passioni, spesso ricavandone forti delusioni, è bello condividere questo idem sentire, percependosi parte di un progetto comune. Stiamo seminando con passione, con feroce applicazione, con enorme determinazione. Non so se raccoglieremo in proporzione a quante energie stiamo profondendo nei nostri progetti, ma l'impostazione scelta è quella giusta e spesso ci basta una semplice occhiata per capirci. Ci telefoniamo di sabato, di domenica, ci mandiamo continuamente mail, non rispettiamo la patetica divisione tra tempo libero e tempo di lavoro, che appartiene a una società che non esiste più, incapace di aggiornarsi, che si crede borghese ma in realtà si muove secondo modelli marxiani (inutile spiegarglielo, sono ignoranti come talpe; sono quelli che, quando hai la sfortuna di parlare con loro di politica, ti distillano addosso con sussiego pillole di saggezza tipo "gli estremi si toccano" e, se tu gli rispondi: "è vero, e non esistono neanche più le mezze stagioni", ti guardano come se fossi pazzo, non come se fossi - come sei - uno che li sta prendendo urbanamente per il culo...).
Siamo mobilitati in permanenza e nessuno mi ha ancora detto: "stacco, perché devo ricaricare le batterie". Sono gli automi, quei piccoli giocattolini con le pile che camminano nella direzione in cui li orienti (stile pubblicità della Duracell), che hanno bisogno di "ricaricare le batterie". Noi, semplicemente, non abbiamo batterie. Il pathos non va a batteria, va ad élan vital...
Piero Visani
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